L'allevamento del bovino a carne in Italia ha connotati particolari. Deficitari come siamo di pascoli e di vitelli, la produzione di carne bovina avviene ingrassando giovani animali che si importano dalla Francia (in grande prevalenza) e poi da Polonia e Irlanda. Rispetto al passato questi Paesi preferiscono fornirci animali di peso elevato (oltre i 300 kg).

In questo modo riescono ad usufruire dei premi comunitari che la Ue mette a disposizione e che altrimenti perderebbero vendendoci animali più giovani. Con il risultato che si sono accresciute in quantità e in valore le nostre importazioni di bovini vivi, che oggi assommano a circa un milione di capi, per un ammontare di oltre 823 milioni di euro (elaborazioni Osservatorio Latte su dati Istat).

 

I problemi da affrontare

In queste condizioni produrre carne bovina in Italia è un'attività che risente più di altre delle politiche agricole comunitarie e delle decisioni che vengono prese a Bruxelles su temi come il trasporto animale, il benessere in allevamento o la salute degli animali. Tutti argomenti, questi, che sono stati al centro dell'annuale assemblea di Uniceb (l'associazione che riunisce gli importatori e gli ingrassatori di bestiame e carni) che si è svolta recentemente a Verona. Con una qualificata presenza dell'intera filiera produttiva, l'incontro ha puntualizzato numerosi aspetti che richiedono maggiore attenzione e risposte da parte dell'amministrazione pubblica e di quella sanitaria in particolare. Gli allevatori di bovini da carne si trovano infatti a fare i conti con costi crescenti per le nuove tariffe previste dalla nuova regolamentazione per i controlli veterinari. Costi che vanno a sommarsi, specie per le imprese di macellazione, con gli obblighi ancora esistenti in tema di prevenzione della Bse. Altro tema “caldo” è legato alle proposte della Commissione Europea sul trasporto animale (si veda in proposto anche le anticipazioni fornite da Agronotizie) che vorrebbero ridurre i tempi di viaggio ed aumentare la superficie a disposizione di ogni capo. Gli aumenti dei costi colpirebbero soprattutto l'allevamento italiano per la sua dipendenza dall'estero per i capi da ingrassare. Questi vincoli accrescono le già notevoli difficoltà di approvvigionamento di animali, che potrebbero essere superate, come da tempo chiede Uniceb, dando maggiori aperture alle importazioni da Paesi Terzi e in particolare da Brasile e Argentina.

 

Le richieste di Uniceb

Il presidente di Uniceb, Renzo Fossato, nel chiudere i lavori congressuali ha voluto ricordare le difficoltà degli operatori a rapportarsi con la Gdo (grande distribuzione organizzata), che ha assunto sul mercato un potere contrattuale talmente forte da porre gli operatori delle carni bovine in posizione di sudditanza. Difficoltà che si vanno ad aggiungere a quelle già ricordate e che mettono in forse il futuro del settore della carne bovina. Partendo da queste considerazioni dall'incontro Uniceb si è levato all'indirizzo del ministro Luca Zaia un invito a riservare parte delle risorse previste dalla Pac e in particolare dal nuovo articolo 68 (che, ricordiamo, riguarda gli interventi per le problematiche settoriali), per sostenere le attività degli ingrassatori italiani. Questi ultimi, per voce del presidente Fossato, suggeriscono di ridurre a 5 mesi (in luogo degli attuali 7) il periodo minimo di detenzione degli animali necessario per poter usufruire del premio comunitario. Un'esigenza dettata dal progressivo innalzarsi del peso al quale gli animali vengono ceduti agli allevatori italiani e che riduce di fatto la permanenza nelle nostre stalle per completare il finissaggio.