Prima di accedere ai contenuti della ricerca menzionata, è doveroso fornire alcune indicazioni su come gli agrofarmaci si muovono nel comparto aereo e sulle modalità più consigliabili per monitorarne il comportamento.
Per chi voglia lavorare bene
Le vie di diffusione ambientale degli agrofarmaci sono molteplici e varieranno in funzione delle caratteristiche chimico fisiche di ogni sostanza attiva. Ecco perché, per esempio, alcune molecole non si trovano praticamente mai nelle acque e altre quasi sempre.
Il trasporto e la diffusione nell’ambiente possono essere poi dovuti a due distinti fenomeni: il primo dipende dalle caratteristiche intrinseche delle molecole, quindi dalla loro affinità per il comparto acquatico e/o aereo, tendenzialmente inverse a quelle che tali molecole mostrano verso i colloidi e la sostanza organica del terreno.
La diffusione può però avvenire anche tramite trasporto passivo, ovvero sul particolato che a sua volta diffonde in aria oppure scivola come trasporto solido verso le acque. In tal caso, le molecole sono "passeggere" passive e possono giungere anche a notevoli distanze dal punto d'immissione nell’ambiente. Basti pensare alle piogge rosse del Nord Italia dovute alle tempeste di sabbia magrebine.
Gli studi ecotossicologici, quelli seri, tengono quindi conto di entrambe le vie di diffusione e cercano di stimare la presenza e i movimenti delle molecole nell’ambiente. Per quanto riguarda l’aria, una ricerca ben progettata deve prevedere per esempio delle pompe da vuoto collegate a misuratori volumetrici, tali da permettere di correlare il dato analitico con un ben preciso volume di aria campionato. Solo in tal modo si può infatti stabilire le concentrazioni per metro cubo e, quindi, la potenziale esposizione umana e ambientale alle molecole indagate.
Inoltre, proprio per isolare la componente trasportata passivamente, i campionatori devono essere strutturati su una base "multistrato". Di solito, vengono utilizzate cartucce di vetro riempite di materiali adsorbenti in forma granulare. All’imboccatura di tali cartucce vanno posizionati dei filtri atti a catturare il particolato solido, al fine di analizzarlo separatamente in laboratorio.
Ma non basta. A ogni dato analitico puntuale serve poi abbinare un bilancio del comparto aria al fine di stimare la cosiddetta "advection", cioè la diffusione complessiva delle molecole indagate. Per fare ciò è quindi necessario conoscere anche dati relativi al vento e al ricambio di aria sulla superficie indagata. Solo in tal modo è possibile infatti stimare la percentuale di sostanza attiva allontanatasi tramite diffusione aerea. Anche temperature e umidità, dell’aria e del suolo, giocano un ruolo fondamentale nel livello di precisione dell’indagine.
La ricerca tedesca
Una ricerca tedesca, come detto, avrebbe rivelato una presenza alquanto diffusa di molteplici sostanze attive, focalizzando poi i messaggi soprattutto su glifosate. Tale sostanza attiva mostra però una Costante di Henry decisamente bassa (indice di affinità per l’aria, per semplificare all’estremo). Tale scarsa affinità per l’aria dell'erbicida è abbinata per giunta a una sua elevata solubilità in acqua. Ciò ne rende alquanto ridotta la diffusione in atmosfera, a meno che non venga trasportata passivamente dal particolato stesso.
La ricerca tedesca ha però subito gonfiato le vele del fronte abolizionista, il quale ha colto la palla al balzo per rinforzare le proprie pretese di bocciatura a livello europeo. Peccato che la ricerca in sé non permetta di realizzare alcuna stima del rischio sanitario per l’uomo, non avendo fornito alcun dato circa la concentrazione per metro cubo di aria.
I campionatori utilizzati dai ricercatori non avevano infatti alcun misuratore volumetrico. Molti dei punti di campionamento erano delle semplici postazioni in cui sono stati posizionati dei dischi esposti passivamente all'aria per molti mesi. Al termine dell’esposizione i dischi sono stati eluiti e analizzati in laboratorio, permettendo di esprimere la presenza in microgrammi/postazione, ma non per metro cubo.
In alternativa, e in numero minore, sono stati posti dei dischetti negli impianti di aerazione di abitazioni civili. Anche il tal caso, i dati analitici sono stati espressi come nanogrammi per metro quadro di filtro, ma, ancora, non per metro cubo di aria.
Il dato massimo trovato in una delle postazioni passive è stato pari di 3.177 microgrammi, cioè 3,2 milligrammi circa, in un solo disco campionatore esposto per diversi mesi. Il dato medio, invece, è stato di 268 microgrammi per postazione. Considerando che l'Acceptable Daily Intake di glifosate per un corpo di 60 kg è di 30 milligrammi al giorno, appare già a prima vista del tutto trascurabile l’esposizione per via aerea all’erbicida, anche pensando alla lunghezza temporale sulla quale si è sviluppata la ricerca. Tale evidenza sarebbe stata ancor più tangibile se fossero state valutate le concentrazioni per metro cubo, sapendo che una persona a riposo respira mediamente 12-15 metri cubi di aria al giorno.
Infine, i dati ottenuti non permettono di comprendere i reali livelli di presenza aerea nei singoli punti di campionamento, visto che la ventosità e l’umidità notturna, con relativa condensa di rugiada, potrebbero aver influito notevolmente sui processi di deposito e adsorbimento delle molecole su ogni supporto fisico installato. Non è cioè detto che il campionatore a presenza più elevata lo sia davvero. E viceversa.
In sostanza, la ricerca in quanto tale va apprezzata per la numerosità dei punti di campionamento disposti sul territorio tedesco, ma forse sarebbe stata più efficace se si fosse limitata a un numero di campionatori molto inferiore, ma collegati ai più opportuni sistemi di misurazione dell’aria transitata per le cartucce di captazione. Se così fosse stato fatto, però, si dubita fortemente che per glifosate, viste le sue caratteristiche e le tracce comunque irrisorie rinvenute in Germania, si sarebbero evidenziate concentrazioni in aria tali da poterne ritenere significativo il rischio.
Come si suol dire in tal caso: ritenta, sarai più fortunato.