La Apvma, acronimo di Australian Pesticide and Veterinary Medicines Authority, fa capo al Governo australiano e su glifosate ha quindi prodotto un apposito "Chemical risk assessment", ovvero una valutazione che tenesse conto sia dell'"Hazard assessment", sia dell'"Exposure assessment".
Le due valutazioni sono differenti e hanno quindi anche differenti scopi. La prima si concentra sulle caratteristiche intrinseche della molecola, la seconda valuta invece i livelli di esposizione. Se i livelli di pericolosità espressi dalla prima si mostrano superiori ai livelli di esposizione fissati dalla seconda, il rischio complessivo può essere considerato basso.
Tanto più si mostra ampia la differenza fra livelli di pericolosità potenziale e livelli di effettiva esposizione, quanto più basso sarà il rischio reale. Di fatto, è ciò che viene valutato anche quando si debba autorizzare o revocare una qualsiasi sostanza attiva, andando al di là del semplicistico concetto di pericolosità intrinseca per analizzare i reali livelli di rischio. Questo è il motivo per cui vengono autorizzate anche molecole che poi lasciano residui sulle colture, oppure migrano in parte nelle acque. Se tali concentrazioni sono inferiori al rischio tossicologico, per l'uomo e altri organismi, la sostanza viene comunque autorizzata, prendendo misure di mitigazione tanto più severe quanto più la molecola si sia mostrata "spinosa" dal punto di vista tossicologico e ambientale nel corso della valutazione.
Da tale processo risultano le differenze fra molecole in termini di livelli di residui massimi ammessi sulle colture o di Criteri di qualità (Quality Criteria) per le acque superficiali. Per le acque di falda, purtroppo, tale valutazione non viene svolta in Italia, utilizzando un anacronistico limite omnicomprensivo pari a 0,1 µg/L. Fatto di cui su AgroNotizie si è scritto a più riprese, citando proprio l'Australia come esempio da seguire in tal senso (leggi l'approfondimento).
Analogamente a quanto già concluso da Echa, ora, sempre in Australia, applicando tale processo di valutazione agli specifici aspetti della cancerogenicità, anche le autorità preposte hanno concluso che no, glifosate non rappresenta rischi in tal senso per la popolazione umana.
La revisione è stata commissionata dal Dipartimento australiano della Salute ed è stata condotta in due fasi. La prima (Tier 1) ha individuato gli studi sui quali si è basato lo Iarc e che dovevano essere rivisitati in modo più dettagliato. La seconda (Tier 2) ha compiuto una valutazione mirata e dettagliata di tali studi.
Al termine del lungo iter valutativo l'Apvma ha concluso non solo che glifosate non costituisce un rischio oncologico per gli esseri umani, ma anche che non ci sono motivi per sottoporre la molecola a riconsiderazioni formali in termini autorizzativi.
La differenza di conclusioni cui sono arrivati Iarc e Apvma deriva dal fatto che mentre lo Iarc ha valutato preminentemente i rischi intrinseci della molecola, l'Apvma ha invece preso in considerazione i reali livelli di esposizione a glifosate da parte dell'uomo. E ciò ha fatto concludere che la popolazione australiana non è esposta a rischi oncologici a causa di glifosate.
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Fonte: Agronotizie