"Nei primi cinque anni dall'entrata in esercizio dell'impianto agrivoltaico sono monitorate continuità agricola e rese allo scopo di creare un benchmark, una base di dati delle colture sotto agrivoltaico. Dal sesto anno in poi, il Gestore dei Servizi Energetici (Gse) chiederà alle aziende agricole di adeguarsi e potranno anche esserci sanzioni se le rese si discosteranno più del 30% da quelle attese. A una prima lettura delle Regole operative appena pubblicate mi sembra che le richieste normative siano ragionevoli".

 

Così Giovanni Cattaruzzi, perito agrario e libero professionista dello Studio Cattaruzzi di Udine, ha commentato, a caldo, l'arrivo di uno dei documenti più attesi da chi si sta cimentando nella progettazione di impianti agrivoltaici in Italia.

 

Le Regole operative fanno parte del "DM Agrivoltaico" (436/2023 in vigore dal 14 febbraio 2024) e serviranno da guida ai tecnici che seguiranno le imprese che stanno provando a sfruttare i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) destinati appunto all'agrivoltaico. Giovanni Cattaruzzi ha supportato dal punto di vista agronomico almeno una dozzina di progetti agrivoltaici utility scale e Pnrr. Ecco cosa ci ha raccontato, approfondendo la sua esperienza.

 

Collaborando alla progettazione di impianti agrivoltaici, nella sua esperienza, su quali colture avete puntato e perché?

"La premessa da tenere sempre presente è che in Italia ci sono ancora poche esperienze di agrivoltaico. Per quanto riguarda i progetti cui ho collaborato, abbiamo puntato su colture che tenessero conto della tradizione locale e anche delle abitudini del territorio a gestire quelle colture. Per ogni progetto è stato fatto un ragionamento tailor made, ogni caso infatti è diverso. Abbiamo preso in considerazione le caratteristiche pedoclimatiche e sito specifiche di ogni luogo e anche la vocazionalità. Il tutto è stato combinato con gli spazi disponibili, considerando la meccanizzazione necessaria.

 

È importante però ragionare anche sull'intera filiera, dalla semina alla commercializzazione, ovvero tenere conto del fatto che l'agricoltore che gestirà la produzione deve essere in grado di portare a termine il ciclo produttivo, fino alla commercializzazione. In caso contrario non si compirà il senso dell'agrivoltaico che è non soltanto coltivare al di sotto dei pannelli fotovoltaici ma anche avere una vera integrazione fra produzione di energia elettrica e produzione agricola. Integrando anche la produzione di energia in azienda agricola, teoricamente, potrei anche diventare più competitivo e più virtuoso. Sulla carta è possibile.

 

Quanto alle colture, abbiamo puntato principalmente su seminativi estensivi, foraggere specializzate e anche allevamento di ovini. Devo dire che nella mia personale esperienza, gli allevatori si sono dimostrati molto disponibili e interessati. Generalmente, sempre per quanto ho avuto modo di vedere io, le aziende agricole cui sono concessi i terreni sotto agrivoltaico, nel caso in cui non siano proprietarie del terreno stesso, non pagano l'affitto degli stessi. Questo, dal punto di vista competitivo, è un bel vantaggio".

 

In generale, dal punto di vista della progettazione, per quanto riguarda la parte agronomica, nel valutare se una coltura sia o meno adatta al sistema agrivoltaico, cosa si prende in considerazione?

"Sicuramente si considerano la capacità di adattarsi all'ombreggiamento e il tipo di meccanizzazione necessaria per coltivare. La meccanizzazione deve adattarsi agli spazi disponibili. Riguardo all'ombreggiamento, non tutte le colture rispondono allo stesso modo.

 

Per fare un esempio, a un estremo troviamo l'erba medica che si avvantaggia dell'ombreggiamento, all'altro estremo c'è invece il mais che ha bisogno di luminosità per compiere il suo ciclo. Ripeto, oggi mancano dati consolidati che siano frutto di una serie storica adeguata, ma dai pochi impianti agrivoltaici realizzati in Italia e dalle esperienze estere, stiamo registrando le prime indicazioni incoraggianti. In ogni caso, quando si compiono scelte in fase di progettazione, per quanto riguarda anche le colture da accoppiare all'impianto fotovoltaico, occorre tenere conto anche della capacità degli agricoltori di gestirle".

 

L'agrivoltaico in quali casi può fungere anche da protezione della coltura sottostante o può avere una funzione mitigatrice delle condizioni climatiche?

"Grazie all'ombreggiamento generato dai pannelli fotovoltaici si riduce la necessità di risorsa idrica, con la diminuzione dell'evapotraspirazione. Si riduce poi l'intensità della radiazione solare sugli apparati vegetativi, con l'abbassamento della temperatura fogliare. Questo aspetto porta a riequilibrare l'accelerazione delle fasi fenologiche, cui stiamo assistendo a causa dei cambiamenti climatici, riportando ad esempio il periodo di maturazione a quello fisiologico.

 

L'agrivoltaico in effetti può ridurre l'effetto provocato dai cambiamenti climatici come colpi di calore. Nel caso delle colture più esposte alle gelate e più economicamente rilevanti, come quelle frutticole e viticole, l'agrivoltaico può ridurre gli effetti delle gelate grazie al microclima favorevole dovuto alla parziale copertura delle piante. Purtroppo, rispetto alla grandine bisogna sottolineare che c'è comunque la necessità di installare opportune reti protettive".

 

Sulla base delle sue esperienze di progettazione di impianti agrovoltaici, quali sono le richieste che vengono fatte, dal punto di vista anche ambientale e paesaggistico, per avere l'ok a un progetto?

"Ho notato una notevole attenzione dei progettisti e delle autorità verso azioni concrete che portino a un inserimento più equilibrato possibile di un impianto nei diversi contesti territoriali, attraverso la creazione di mitigazioni, spesso articolate, nella tipologia e nelle finalità. Per esempio utilizzando specie arboree e arbustive tipiche del sito e la predisposizione di microhabitat dedicati alla microfauna. Questo allo scopo di potenziare l'effetto mitigativo, andando oltre il mero mascheramento e creando nuovo valore ecosistemico. Nella mia esperienza il tempo che intercorre per arrivare all'apertura effettiva di un cantiere è di tre, cinque anni dalla presentazione del progetto".

 

Ha già avuto modo di osservare colture sotto agrivoltaico all'estero, cosa ci può raccontare?

"In Europa ci sono alcuni Paesi in vantaggio sull'Italia in quanto l'esperienza agrivoltaica su scala rappresentativa è partita dieci, quindici anni fa specie su vite, frutticole, orticole e foraggere. Mi riferisco all'esperienza tedesca, ma soprattutto a quella francese. Sulla frutta come sulla vite, le piante subiscono di meno l'effetto della radiazione solare grazie alla parziale copertura dei pannelli fotovoltaici evitando così le scottature sui prodotti e rallentando la vigorìa delle piante. La maturazione ritorna così al periodo ottimale preservando la qualità dei frutti.

 

I primi test sensoriali di raffronto fra vini ottenuti in campo aperto e sotto agrivoltaico sono decisamente sorprendenti, questi ultimi risultano più equilibrati e con uno spettro sensoriale più ampio. Peraltro anche in Italia si segnalano alcune, seppure rare, esperienze agrivoltaiche su vite e seminativi avviate nel 2011".

 

Avendo lavorato con aziende per la parte energetica e contemporaneamente con aziende agricole, è facile il dialogo fra tecnici per la parte energetica e tecnici per la parte agronomica?

"Quando l'obiettivo del progetto è seriamente orientato a compiere un'effettiva integrazione fra generazione elettrica e produzione agricola diventa, pur nella sua complessità, tutto più semplice. Quello che potremmo chiamare 'l'ecosistema' che si viene a creare fra operatori energetici, imprenditori agricoli e progettisti diviene sinergico e professionalmente appagante per tutti".

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