Le specie del genere Jatropha appartengono alla famiglia Euphorbiaceae e sono distribuite principalmente nelle regioni tropicali e subtropicali del mondo, soprattutto in America e in Africa. Vivono in giungle basse e boscaglie xerofite.
Alcune specie sono state studiate per il loro potenziale utilizzo in medicina tradizionale in diversi Paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America, fra queste: J. cathartica, J. curcas e J. dioica. Questo ha motivato la comunità scientifica a condurre studi di ecologia chimica e fitochimica applicata per ottenere sostanze con azione antibatterica, antimicrobica, antimicotica, antitumorale e insetticida. Tra tutte le specie la più studiata è Jatropha curcas, perché i suoi semi sono ricchi di un olio non commestibile ma particolarmente adatto alla produzione di biodiesel.
Quasi tutte le parti vegetative di Jatropha curcas hanno una qualche utilità: il succo estratto dalle foglie è un colorante naturale che tinge di rosso, se utilizzato sui tessuti presenta un colore nero indelebile; la corteccia ha il 37% di tannini che conferiscono un colore blu scuro. Il lattice contiene il 10% di tannini e può essere utilizzato anche come inchiostro. Varie preparazioni della pianta, compresi semi, foglie e corteccia (fresche o in decotto), sono utilizzate in medicina tradizionale e come medicinali veterinari per i suoi effetti antisettici, coagulanti, diuretici e per evitare stipsi, febbri e dolori reumatici. La buccia del frutto viene utilizzata per ottenere biofertilizzante o biogas. Dai semi, sottoposti a tostatura e macinazione, si estrae un olio che può essere utilizzato nella produzione di saponi, insetticidi, lubrificanti, combustibile e per ottenere biodiesel. Il pannello dell'estrazione dell'olio viene utilizzato anche come biofertilizzante per il suo elevato contenuto di azoto.
Alcune cultivar sono commestibili ma altre risultano tossiche per la presenza di estere di forbolo. Uno studio sull'alimentazione di polli ha dimostrato che l'aggiunta di solo il 10% di farina di semi delle cultivar tossiche è letale per i polli, mentre quelli nutriti con mangime contenente il 10% di farina della cultivar commestibile hanno una resa in carne comparabile a quella ottenuta con il mangime standard.
È possibile distruggere l'estere di forbolo mediante un trattamento termico a temperatura maggiore di 160°C durante più di mezz'ora, ma, malgrado il suo alto contenuto proteico (fra il 20% ed il 60% a seconda delle cultivar), il pannello di semi della varietà tossica contiene comunque altri principi antinutrienti: saponine, lecitine, fitati e inibitori della tripsina (1). La jatropha è utilizzata anche come siepe per rimboschire aree soggette ad erosione. Una singola pianta di Jatropha curcas produce circa 200 chilogrammi di biomassa legnosa in sette anni.
La Jatropha curcas può crescere su suoli poveri e sabbiosi, in climi tropicali e semitropicali, ad altitudini comprese tra 0 e 1.500 metri Sul Livello del Mare. Si adatta molto bene ai climi aridi e semiaridi attraverso meccanismi molecolari di resistenza alla siccità. Può effettivamente crescere in una vasta gamma di terreni, purché ben drenati e aerati. In genere prospera in una fascia termica compresa tra 15 e 40°C, con precipitazioni da 250 a 3mila millimetri, ma il suo sviluppo risente di temperature inferiori ai 5°C.
Almeno teoricamente sarebbe coltivabile in Sicilia, in Sardegna, nelle isole minori e in Puglia. La produzione inizia già nel primo anno e si consolida dopo cinque anni. Raggiunge un'altezza compresa tra i 3 e gli 8 metri e la sua resa in semi varia da 0,5 a 12 tonnellate/ettaro.anno, a seconda del tipo di terreno, delle condizioni di fertilizzazione e irrigazione. L'arbusto di J. curcas ha un periodo produttivo di quaranta, cinquanta anni. Su terreni eccellenti e con precipitazioni di 900-1.200 millimetri si può prevedere una produzione media annua di semi di circa 5 tonnellate/anno.ettaro a partire dal quinto anno con una densità di 2.500 piante. I semi delle cultivar messicane hanno un contenuto di olio in media tra il 55% e il 60% (2).
Fra gli Anni 2000-2012 la coltivazione di Jatropha curcas si considerava come una panacea per la produzione di biodiesel in zone semiaride. La Fao, pur riconoscendo il suo potenziale, avvertiva sulla necessità di miglioramento e addomesticazione della specie per stabilizzare le sue rese. Nonostante i rischi, sono state emanate leggi ed incentivi per promuovere la sua coltivazione in diversi Paesi, con lo scopo di sostituire i carburanti fossili: Cina, Mali, e degli standard di qualità del biodiesel ad hoc in Zambia.
Tuttavia, ci sono discrepanze all'interno della comunità scientifica sulla sostenibilità della risorsa, tenendo conto di alcuni problemi sollevati su resa della piantagione, presenza di parassiti e bassa variabilità genetica. Il progetto Jatropt finanziato dall'Unione Europea con quasi 3 milioni di euro, ha messo in evidenza che il principale ostacolo per ottenere alte rese è nella meccanizzazione del raccolto. Coltivando ad alta densità una varietà nana appositamente selezionata per consentire la raccolta meccanizzata, è possibile ottenere 1.500 litri di olio/ettaro nel primo anno e 3mila litri/ettaro negli anni successivi, purché il clima consenta una campagna produttiva di trecento giorni, e con sufficiente apporto idrico e concimazioni.
Nonostante la ricerca non si sia mai fermata e alcuni studi recenti (3 e 4) mantengano un certo ottimismo sul futuro di questa coltura, dalla letteratura scientifica si osserva come dal 2012 l'entusiasmo iniziale si è trasformato lentamente in scetticismo, riassunto in una revisione critica pubblicata nel portale divulgativo Mongabay, supportata da una abbondante bibliografia. L'autore ha fatto una verifica nel database di Land Matrix riscontrando che, su scala globale, il 62% dei grandi progetti di coltivazione di jatropha è fallito, il 2% non è mai iniziato, e solo il 22% sarebbe in produzione. Il totale di operazioni di land grabbing - o sospette tali - effettivamente censite riguarda 1.711.174 ettari situati in Africa.
Secondo l'Azienda di studi di mercato Tridge, l'Italia è stata il quinto importatore mondiale di olio di jatropha nel 2021. Il volume totale delle importazioni è stato di 209,4 milioni di euro, di cui: 87,2 milioni di euro dalla Malesia, 47,8 milioni di euro dall'Indonesia, 17,7 milioni di euro dai Paesi Bassi, 11,5 milioni di euro dalla Germania, 13,7 milioni di euro dalla Spagna, 6,2 milioni di euro dall'India, 5,7 milioni di euro dal Belgio, 2,9 milioni di euro dalla Francia, 6,7 milioni di euro dalla Grecia, 1,3 milioni di euro dall'Austria, il resto da fonti non precisate (operazioni minori di 100 migliaia di euro).
Curiosamente, allo stesso modo in cui abbiamo importato notevoli quantità da Paesi che a loro volta sono importatori, nello stesso anno abbiamo esportato: 10,7 milioni di euro in Romania, 0,94 milioni di euro nel Regno Unito, 0,93 milioni di euro in Spagna, 1,4 milioni di euro in Germania, 0,414 milioni di euro in Svizzera.
Uno sguardo alla mappa dei flussi di importazione ed esportazione (Foto 1 e 2) ci fornisce un'indicazione sulla vera origine dell'olio di jatropha utilizzato dall'industria globale: Indonesia e Malesia. Il resto di Paesi esportatori agisce da rivenditori. Dall'analisi dei flussi, sembrerebbe che l'olio di jatropha sia una materia prima soggetta ad una certa speculazione. Ma cosa ha di speciale questo olio? Il grasso più abbondante nell'olio di Jatropha curcas grezzo è l'acido oleico (42,4-48,8%) seguito dal linoleico (28,8-34,6%), dal palmitico (7,7%) e dallo stearico (7%). Poiché oltre l'80% corrisponde ad acidi grassi insaturi, l'olio di jatropha - e conseguentemente anche il biodiesel ricavato da esso - ha la proprietà di rimanere fluido anche a basse temperature. Il tenore di acidi grassi liberi è dell'ordine di 14-15%, questo comporta una maggiore difficoltà per produrre biodiesel tipo Fame, Fatty Acid Methyl Ester, richiedendo un processo a due stadi di tipo acido/alcalino. Ciò nonostante, il biodiesel risultante risponde alla Norma EN 14214 (5).
Foto 1: Flussi di importazione di olio di jatropha
(Fonte foto: Tridge)
Foto 2: Flussi di esportazione di olio di jatropha
(Fonte foto: Tridge)
Laddove il pannello di jatropha provenga dalle cultivar tossiche e dunque sia inutilizzabile in alimentazione, le opzioni sono: utilizzarlo come fertilizzante organico, come combustibile in forma di pellet, o come sottoprodotto per impianti di biogas.
Una prova di Bmp realizzata dall'autore (Foto 3) indica che la sua resa non giustificherebbe il costo di trasporto, per cui la digestione anaerobica del pannello avrebbe senso solo se eseguita nell'area di produzione. Dalla prova di Bmp non sembra che il contenuto di proteine del campione fosse molto elevato, oppure gli antinutrienti ne hanno in qualche modo limitato la completa digestione. Poiché la letteratura fornisce valori molto variabili di proteine, e comunque alto tenore di N, l'utilizzo del pannello come combustibile andrebbe scartato preventivamente per evitare le emissioni di NOx. Poiché la resa di olio dei semi dipende dall'apporto di N, P e K, l'impiego più semplice e immediato del pannello di jatropha sembra essere la concimazione della piantagione stessa.
Essendo una specie arbustiva, la legna di jatropha è adatta solo per la produzione di cippato o pellet. Un possibile utilizzo alternativo alla sua combustione potrebbe essere la fabbricazione di pannelli truciolari.
Foto 3: Bmp del pannello di jatropha. Prova realizzata dall'autore con protocollo minimo UNI 11703:2018, margine d'incertezza ±5%
(Fonte foto: Mario A. Rosato - AgroNotizie®)
Conclusioni
La Jatropha è una specie che presenta ancora margini di miglioramento genetico, e - almeno teoricamente - sarebbe coltivabile nelle zone semiaride del Meridione, laddove il microclima è tale che non ci sono mai ghiacciate, perché questa specie non tollera assolutamente temperature sotto lo 0°C per più di qualche ora, con danni mortali.
Ma il collo di bottiglia per sfruttare a pieno il suo potenziale produttivo in zone marginali rimane quello (geo)politico. La coltivazione di jatropha nel Nord Africa potrebbe assicurarci le forniture di biodiesel con minori costi di trasporto rispetto all'olio di palma asiatico o all'olio di colza dell'Est Europa. Inoltre, verrebbero creati posti di lavoro nei Paesi da cui originano i flussi migratori incontrollati, contribuendo almeno a ridurre il fenomeno. Tutto ciò può funzionare solo con un adeguato coordinamento fra l'industria petrolifera di Stato, gli imprenditori agricoli, le istituzioni di ricerca e l'industria dei macchinari agricoli. Tale politica andrebbe accompagnata da azioni diplomatiche e da accordi di collaborazione, per garantire la stabilità e per tutelare gli investimenti. Mancano statisti capaci di andare oltre la mera affermazione "aiutiamoli a casa loro", dotati di più pragmatismo.
L'autore ringrazia Daniele Trebbi, dottore agronomo, ricercatore genetista vegetale, per la revisione scientifica di questo articolo previa pubblicazione.
Bibliografia
(1) V. Punsuvon & R. Nokkaew; Elimination of phorbol esters in Jatropha curcas seed oil by adsorption technique; Seed Oil, chapter 6, Nova Science Publishers, 2015.
(2) Controversia en la producción de biodiesel. Caso: jatropha en tamaulipas.
(3) Neupane, Dhurba, Dwarika Bhattarai, Zeeshan Ahmed, Bhupendra Das, Sharad Pandey, Juan K. Q. Solomon, Ruijun Qin, and Pramila Adhikari. 2021. "Growing Jatropha (Jatropha curcas L.) as a Potential Second-Generation Biodiesel Feedstock" Inventions 6, no. 4: 60.
(4) Pérez, Guadalupe, Jorge Islas, Mirna Guevara, and Raúl Suárez. 2019. "The Sustainable Cultivation of Mexican Nontoxic Jatropha Curcas to Produce Biodiesel and Food in Marginal Rural Lands" Sustainability 11, no. 20: 5823.
(5) Riayatsyah TMI, Sebayang AH, Silitonga AS, Padli Y, Fattah IMR, Kusumo F, Ong HC and Mahlia TMI (2022) Current Progress of Jatropha Curcas Commoditisation as Biodiesel Feedstock: A Comprehensive Review. Front. Energy Res. 9:815416. doi: 10.3389/fenrg.2021.815416.