La Commissione europea si prepara a celebrare il terzo anniversario dall'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto. Impressionante è l'elenco delle manifestazioni (ufficiali e spontanee)  che si svolgeranno in numerosi angoli del nostro pianeta per festeggiare una ricorrenza che ha cambiato e continuerà a cambiare i destini dell'umanità. Perché, al momento attuale, il protocollo costituisce il più avanzato accordo internazionale mai conosciuto che impegna le parti contraenti a raggiungere determinati obiettivi comuni per quanto riguarda la protezione dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile. La strada per arrivare ad un simile risultato è stata segnata da numerosi ostacoli, in primis la reticenza di alcuni Stati firmatari a dare seguito al documento ratificando formalmente le disposizioni ivi contenute. Ciononostante, il successo che esso ha riscontrato è considerevole. Lo scorso 12 dicembre il neo primo ministro australiano, il laburista Rudd, ha voluto che uno dei primi atti del suo esecutivo fosse quello di depositare gli strumenti di ratifica del protocollo, facendo dell'Australia il 176mo Paese che ha accettato di condividerne gli obiettivi.
Il protocollo impone ai Paesi più sviluppati di ridurre le emissioni di gas serra al di sotto di soglie obiettivo, specificate per ciascuno di loro, e di farlo entro il 2008-2012. A questo si aggiunge l'impegno ad un taglio di queste emissioni nocive sul piano globale pari ad almeno il 5% rispetto ai livelli registrati nel 1990. Ora che si avvicina il momento di tirare le somme e valutare i risultati, già si pensa al dopo. A stabilire un quadro di riferimento e una tabella di marcia per il futuro (ossia per il dopo 2012) è stata la conferenza internazionale di Bali dello scorso dicembre. L'Unione europea ha salutato con estremo favore la decisione ivi raggiunta di avviare negoziati formali diretti a rafforzare l'impegno di lotta ai cambiamenti climatici fissato a Kyoto. E lo ha fatto in quanto uno dei principali attori e sostenitori dell'iniziativa sul piano mondiale. Il ruolo dell'Unione europea ha acquisito negli ultimi anni il massimo rilievo perché l'Ue, oltre ad essere l'unica entità sovranazionale ad avere ratificato il protocollo di Kyoto (il 31 maggio 2002), sta perseguendo gli obiettivi con determinazione e realismo. I rischi legati al deteriorarsi dell'ambiente e ai cambiamenti climatici vengono sempre più spesso messi in relazione con le recenti dinamiche dei mercati energetici internazionali. Questo spiega la centralità di una questione come la produzione di energia da fonti rinnovabili in modo da garantire benefici di lungo periodo sia per l'ambiente nel suo complesso sia per le imprese e i cittadini. Tanto più se si considera la forte dipendenza che i 27 Stati membri dell'Ue hanno sviluppato negli ultimi anni nei confronti di Paesi terzi fornitori di energia di origine fossile. Se da un canto comporta inevitabili costi, dall'altro la sfida ambientale può anche tradursi in benefici economici, oltre a quelli in termini di salute e qualità della vita. Questo nesso è stato ben colto dalla Commissione europea, che nel giro di pochi mesi (tra il settembre 2007 e il gennaio 2008) ha presentato due pacchetti di misure legislative concrete che mirano a completare la liberalizzazione migliorando la competitività tecnologica e l'efficienza del mercato unico dell'energia, a porre le basi di una politica energetica 'esterna' nei confronti dei Paesi terzi e, da ultimo, a fissare obiettivi concreti e ambiziosi per quanto riguarda la riduzione delle emissioni e l'attuazione di nuovi metodi per la produzione di energia che implichino una minore dipendenza energetica e una maggiore sicurezza ambientale.