In un reportage su La Repubblica, Paolo Bruschi, ex manager di spicco di Fininvest, Omnitel e Poste Italiane, descrive il progetto di coltivazione del bambù che ha intrapreso.
In risposta ai quesiti e alle perplessità che ci hanno sottoposto alcuni lettori sulle affermazioni contenute nel reportage in questione, proponiamo un'analisi basata sulla letteratura scientifica e sulla legislazione vigente. L'autore ringrazia Annalisa D'Orsi e D. J. Midmore (Central Queensland University) per i riferimenti normativi e bibliografici forniti.
La disamina del reportage, punto per punto
"Il bambù vive fino cento anni. Coniuga bene beneficio economico, sicurezza alimentare - i germogli sono un alimento straordinario e buonissimo - e sostenibilità ambientale. Cattura CO2, non ha bisogno di prodotti chimici per la sua coltura ed ha tempi di crescita rapidi".
Le piantagioni di bambù sono statisticamente longeve, ma in Italia i benefici economici da esse derivati non sono ancora dimostrati. La durata della coltivazione non è l'unico parametro di reddito di una coltura perenne. Ad esempio il bambù richiede un notevole impegno di mano d'opera, perché cresce in modo aleatorio e dunque è impossibile meccanizzare la sua coltivazione e raccolto.
Per quanto riguarda il fantomatico valore alimentare dei germogli, cavallo di battaglia dei promotori di questa coltura, l'evidenza scientifica indica tutto il contrario: i germogli sono un alimento poco nutriente. Prendiamo ad esempio uno studio pubblicato sul Journal of Food and Pharmaceutical Sciences (Rif. [i]): i germogli di bambù sono composti da acqua per il 91%, carboidrati per il 5,2%, proteine per il 2,6% e grassi per il 0,3%. I carboidrati sono sostanzialmente fibre, solubili l'8% e il 92% insolubili (quindi simile alla crusca dei cereali). È vero che i germogli di bambù contengono vitamine e aminoacidi essenziali, nonché minerali, ma contengono anche acido cianidrico (5 milligrammi/100 grammi), sostanza che serve alla pianta come difesa contro insetti e roditori. L'ammollo prolungato seguito da una lunga cottura serve ad eliminare l'acido cianidrico e a rendere digeribile parte della fibra, ma distrugge o quanto meno diminuisce notevolmente la concentrazione di vitamine, minerali e aminoacidi.
La capacità del bambù di catturare CO2 è direttamente proporzionale all'irraggiamento solare e alla disponibilità di acqua e nutrienti, come in tutte le Poacee (mais, canna da zucchero, erba elefantina, ecc.). Quindi il fatto che un imprenditore abbia scelto di non adoperare prodotti chimici nella coltivazione non significa che tale scelta sia la migliore.
Vediamo ad esempio i risultati di una ricerca agronomica condotta all'Università di Central Queensland, Australia, durata dieci anni: per ottenere rese di 8.300 chilogrammi di germogli/ettaro è necessario apportare 250 chilogrammi N/ettaro.anno; la resa può raggiungere un massimo di 14.200 chilogrammi/ettaro.anno di fronte ad un apporto di concimi chimici pari a 500 chilogrammi N/ettaro.anno, con un rapporto N:P:K pari a 5:1:2,8. Per contro, una concimazione equivalente con pollina non sembra avere effetti rilevanti sulla produttività (Rif. [ii]). Inoltre, la tipologia di N ha un ruolo preponderante nella velocità di crescita e produttività della pianta: il bambù assorbe meglio l'azoto in forma di NH4+, ma il dosaggio di quest'ultimo deve rimanere sotto il 50% dell'N totale (Rif. [iii]). Si ricorda infine che il limite legale stabilito dalla direttiva Nitrati è di 340 chilogrammi N/ettaro.anno, ridotto a 170 chilogrammi N/ettaro.anno nelle zone dichiarate vulnerabili (250 chilogrammi/ettaro nella Pianura padana per effetto di una deroga concessa dall'Ue), quindi in Europa difficilmente si potrà mai superare una resa di 9mila chilogrammi/ettaro.anno, e poco più della metà nelle zone vulnerabili, perché il carico di azoto è limitato per legge.
Infine, oltre al carico di nutrienti il fattore principale di produzione di turioni di bambù è dato dalla combinazione fra tipo di suolo e disponibilità di acqua come vedremo al punto successivo. È altamente improbabile, alla luce di tali dati oggettivi, che una piantagione di bambù gestita senza input agronomici, o quantomeno limitata a soli concimi organici, riesca a crescere nei brevi tempi auspicati e possa raggiungere livelli di produttività tali da considerarsi redditizi e né, tanto meno, mantenere questi costanti nel tempo (argomento discusso in seguito, Foto 2).
"Al momento ci sono tre ettari e mezzo di bambù piantati alle porte di Ferrara. La principale tipologia è il moso, il bambù gigante, molto resistente, con una capacità di crescere tra i 13 e 18 metri in circa cinque anni. La seconda tipologia è il dulcis, una tipologia adatta per i germogli ad uso alimentare. Inoltre abbiamo tenuto mezz'ettaro libero per dare spazio alla biodiversità e vedere come interagisce con il bambuseto circostante. In autunno poi pianteremo quattro ettari di madake, una tipologia più legnosa adatta per le costruzioni. In questo spazio libereremo qualche centinaio di galline e anatre per usarle per controllare erbacce e insetti. Avremo poi anche l'apicoltura. L'idea è una coltivazione davvero integrata, il mio vero pallino".
Il "moso" (Phyllostachys edulis alias P. pubescens) è noto per la sua velocità di crescita in primavera, ma questa non sempre avviene nei tempi record, millantati dai sostenitori di questa coltura. La velocità di germinazione e crescita dipende da molti fattori, alcuni dei quali controllabili mediante tecnica agronomica - ad esempio le concentrazioni relative di N ammoniacale e nitrato, e il rapporto N:K nel concime (Rif. [iv]) - altri difficilmente controllabili in una coltivazione sul campo, come ad esempio: le concentrazioni di fitoormoni, acidi nucleici e proteine, l'espressione genetica, la disponibilità di C atmosferico e organico, l'irraggiamento solare e le temperature medie primaverili (Rif.[v]).
Il "madake" (Phyllostachys bambusoides) non è diverso dal suo cugino edule in questo senso. I suoi promotori lo presentano come "bambù da legname", ma se si desidera una produzione di questo tipo, sono di fondamentale importanza il diametro e l'altezza delle canne. Orbene, il diametro medio del madake è minore di quello del moso (Tabella 1), inoltre la variabilità di queste due misure all'interno di un bambuseto è enorme, come dimostrano la Tabella 1 e la Foto 1, tratta dal Rif. [vi]. Il fatto di liberare galline nella piantagione di madake non garantisce una maggiore produttività ed è del tutto inutile per il controllo delle erbacce e degli insetti. La densa ombreggiatura e la velocità di assorbimento dei nutrienti e dell'acqua - che caratterizzano tutte le specie del genere Phyllostachys - in pratica impediscono la crescita delle erbacce; la tossicità dei loro germogli, unita alla durezza della corteccia delle canne mature, le rendono molto resistenti alla maggior parte degli insetti.
Il bambù, come tutte le Poacee - ad esempio il mais - ha fiori ad impollinazione anemofila. Quindi, le api collocate in un bambuseto morirebbero di fame. Le arnie hanno inoltre bisogno di buona esposizione solare, quindi il bambuseto, ombroso e privo di fiori, è il peggiore ambiente per praticare l'apicoltura.
Infine, non è chiaro inoltre come mezzo ettaro lasciato incolto possa contribuire alla biodiversità. Forse è questo l'appezzamento riservato alle api e si intende coltivare con piante mellifere autoctone, ma il reportage non fornisce dettagli. Ad ogni modo, se non viene gestito adeguatamente, il lotto verrà colonizzato subito dalle malerbe o dagli stessi bambù circondanti.
Tabella 1: Diametri all'altezza del petto, altezze e aree occupate, corredate dalle loro deviazioni standard, di campioni di singole canne di "madake" e "moso" in bambuseti giapponesi. Dati tratti da Inoue et al, 2018 (Rif. [vii]), traduzione e adattamento grafico dell'autore
Legenda: TO: Toshima, KI: Kitakyushu, FU: Fukuoka, HI: Hisayama, MU: Munakata, IT: Ito
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Foto 1: Dispersione delle coppie di valori dei diametri all'altezza del petto e le altezze di esemplari di "moso", riscontrata in Cina, (Rif. [vi]). Asse x: diametro della canna all'altezza del petto, in centimetri, asse y: altezza della canna in metri
"L'Italia è posizionata benissimo in termini di clima, come la Francia meridionale. Idealmente le zone migliori per coltivarlo sono le aree centro-settentrionali poiché il bambù richiede quantità d'acqua importanti. Ma se gestito in maniere intelligente dal punto di vista idrico può crescere anche al Sud. La pianta sopravvive fino a -18°C".
Vero, ma semplicistico. Il bambù consuma molta acqua - fino a 3.300 millimetri/anno in un ambiente semi arido come quello dell'Italia meridionale, (Rif. [viii]). A parte il costo - economico ed ambientale - che rappresenterebbe un tale consumo idrico in una coltivazione nell'ambito pedoclimatico mediterraneo, bisogna considerare alcuni fattori importanti:
- La maggior parte del consumo idrico si concentra nei sei mesi dall'inizio della primavera alla fine dell'estate, quindi l'apporto idrico autunnale invernale non viene completamente utilizzato dalla pianta e si perde come evaporazione.
- Il bambù è poco tollerante alla salinità: un regime irriguo intenso nei periodi di massima evapotraspirazione porterebbe, nel lungo termine, alla salinizzazione del terreno, con conseguenze disastrose per l'ambiente.
- I suoli argillosi pesanti sono poco favorevoli per il bambù, perché una pioggia molto intensa nel periodo di germogliazione basterebbe per portare le radici in anaerobiosi e diminuire drasticamente la resa di turioni, pur mantenendo adeguati i livelli di concimazione e irrigazione. La Foto 2, tratta dal (Rif. [ii]), mostra un caso concreto. Sul lato sinistro sono riportate le rese in turioni del campo "irrigazione minima", per i tre regimi di applicazione di N. Sul lato destro, le rese del campo "irrigazione massima" con gli stessi regimi di concimazione. L'apporto idrico è stato regolato in modo che il totale annuo fosse costante tutti gli anni, ma si osserva che nel terzo anno la produzione è stata molto scarsa, malgrado gli elevati apporti di N, perché si sono verificate piogge torrenziali nel momento di massima crescita dei turioni ed il suolo si è saturato di acqua.
Foto 2: Produzione di germogli di bambù in condizioni di minima irrigazione (sinistra) e massima irrigazione (destra), con diversi apporti di N (punti quadrati 250 chilogrammi/ettaro, punti tondi 375 chilogrammi/ettaro, punti triangolari 500 kh/ettaro)
(Fonte foto: Rif. [ii])
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"Non capiamo a pieno il valore ambientale di questo prodotto, che in Asia ha una filiera enorme. L'Emilia Romagna vuole piantare 4,5 milioni di alberi. Cosa succederebbe se piantassimo sulla stessa superficie altrettanto bambù? In un ettaro possiamo avere ben 30mila piante di bambù, che al sesto anno possono essere tagliati e divenire produttivi. Intanto il bambù continua a ricrescere. Quindi se avessimo mille ettari, lo 0,07 della superficie agricola emiliana, potremmo avere 30 milioni di piante che producono ossigeno anche d'inverno quando in Pianura padana abbiamo lo smog alle stelle. Per questo credo che anche il pubblico abbia un ruolo importante per incentivare i bambuseti. Oltre la riforestazione bisogna sostenere questa coltura".
Se si piantasse bambù su larga scala in un territorio già fortemente antropizzato come la Pianura padana, il risultato sarebbe una catastrofe ecologica e anche economica per chi avesse fatto tale investimento. Una monocoltura, per definizione, è l'antitesi della biodiversità, se poi quella monocoltura è potenzialmente invadente, il rischio è troppo alto. Uno studio pubblicato nel 2020 (Rif. [ix]) mette in evidenza i problemi ambientali che la coltivazione del bambù su larga scala sta causando nella Cina: perdita di terreni a vocazione agricola alimentare, taglio di foreste naturali, impoverimento dei suoli, perdita di biodiversità, invasività indotta. Per chi volesse coltivare bambù, l'aspetto legale va valutato attentamente. Ad esempio, in Valle d'Aosta la coltivazione di tutte le specie del genere Phyllostachys è vietata dalla legge regionale 45/2009 sulla tutela della flora, allegato F, aggiornato nel 2016. In Piemonte, la deliberazione della Giunta regionale 27 maggio 2019, n. 24-9076 ha inserito nella black list la specie Phyllostachys aurea (contenimento ed eventuale eradicazione). Questa specie è molto simile al "madake", al punto che la si credeva una sottospecie di quest'ultimo (sinonimi riportati dal database The plant list: Phyllostachys bambusoides f. albovariegata Makino; Phyllostachys bambusoides f. alternato lutescens I. Tsuboi; Phyllostachys bambusoides var. aurea (Carrière ex Rivière & C. Rivière)).
Nella Regione Lombardia, la legge regionale 31 marzo 2008 - n. 10 Disposizioni per la tutela e la conservazione della piccola fauna, della flora e della vegetazione spontanea, istituisce la lista nera delle specie alloctone invadenti. Nel dgr 16 dicembre 2019 - n. XI/2658 Aggiornamento delle liste nere delle specie alloctone animali e vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione - sostituzione allegati D ed E della dgr n. 7736/2008 (art. 1, comma 3, lr n. 10/2008), la lista nera delle specie vegetali include tutte le specie di bambù, segnalandole come soggette a monitoraggio e contenimento. Per ora non è previsto l'obbligo di eradicazione, ma esiste una seria possibilità che tale obbligo sia incluso in qualcuna delle prossime revisioni triennali, per cui tutti coloro che avranno investito in una coltivazione di bambù nel territorio lombardo rischiano di dover sobbarcarsi l'onere di eradicarlo. L'Arpa della Regione Umbria mette in guardia sul rischio potenziale del bambù nelle aree umide, ma per ora la presenza di bambù nel territorio rimane limitata e non esiste una lista nera. La Regione Emilia Romagna si è limitata a recepire la lista nera delle specie alloctone invasive di rilevanza comunitaria, nella quale non è inclusa alcuna specie del genere Phyllostachys. Ciò non garantisce che queste non possano essere incluse in futuro nella lista di specie alloctone di rilevanza nazionale o in quella di rilevanza regionale, sulla scia delle regolamentazioni valdostane, piemontesi e lombarde.
Proseguendo con la disamina dell'articolo in questione, non è vero che si possa piantare il bambù e al sesto anno raccoglierlo tutto, come se fosse un bosco ceduo a rotazione veloce di salice o pioppo. Le canne crescono e maturano in modo casuale, per cui in un bambuseto coesistono canne di diverse età. Nelle coltivazioni cinesi, gli operai sono specializzati a identificare le canne mature - quelle vecchie più di cinque anni, atte come legname - e quindi le tagliano e asportano una ad una, così come i turioni edibili. Un lavoro che in Italia è improponibile per l'alto costo della manodopera.
Tutte le piante producono ossigeno solo durante le ore diurne, ma la attività fotosintetica dipende sia dal colore della luce che dall'intensità luminosa, oltre che dalla temperatura ambiente, il bambù non è un'eccezione. Dalla metà di settembre fino alla fine di marzo, l'irraggiamento solare sulla Pianura padana è compreso fra metà ed un quarto di quello misurato a giugno, come si può apprezzare dalla Foto 2. Con tali livelli di radiazione, uniti alle basse temperature, il bambù vegeta, ma non assorbe quantità apprezzabili di CO2 né emette quantità rilevanti di O2. Quindi difficilmente una coltivazione di bambù estesa su larga scala potrebbe risolvere il problema dello smog. Per inciso, lo smog (dall'inglese smoke più fog uguale fumo più nebbia) è il risultato delle emissioni di polveri sottili e non dalla CO2. Le polveri sottili sospese nell'atmosfera riducono ulteriormente l'irraggiamento solare e si depositano sulle foglie, peggiorando ulteriormente la capacità di fotosintesi delle piante, bambù incluso.
Foto 3: Irraggiamento solare nei pressi di Ferrara (44,9°N, 11,6°O)
(Fonte foto: Calcolatore del EU Photovoltaic geographic information system)
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Conclusioni
In altri articoli di questa colonna (Il bambù gigante e la bolla speculativa e Il punto della situazione sulla bolla speculativa del bambù) avevamo segnalato le inesattezze di molti di tali argomenti di marketing, supportando le nostre affermazioni con evidenze tratte dalla letteratura scientifica. Ciò non toglie che, se realizzata con un certo criterio, la coltivazione del bambù può avere un valore ambientale e sociale, nonché economico.
Ma non è l'unica "coltura non convenzionale" che meriterebbe maggiore esperimentazione, e il tema caldo Colture energetiche e per bioraffineria ne è la prova. La bolla speculativa creata dai fautori del "moso" e del "madake" rischia ora di scoppiare, iniziando da quelle regioni dove tali specie sono soggette a monitoraggio e contenimento e - forse in un futuro non molto distante - sarà vietata la coltivazione e obbligatoria l'eradicazione.
Bibliografia
[i] Semarang Ainezzahira, Cynthia Mudhita, Ivana Giovani, Metta Santika Buntoni, and Junita Magdasari; Biochemistry and bioactive compounds on bamboo shoots as the main component in lumpia; J.Food Pharm.Sci. 5(2017) 25-28.
[ii] V, Kleinhenz & J, Milne & Walsh, Kerry & Midmore, David. (2003). A case study on the effects of irrigation and fertilization on soil water and soil nutrient status, and on growth and yield of bamboo (Phyllostachys pubescens) shoots. Journal of Bamboo and Rattan. 2. 281-293. DOI:10.1163/156915903322555568.
[iii] Zou N, Shi W, Hou L, Kronzucker HJ, Huang L, Gu H, Yang Q, Deng G, Yang G. Superior growth, N uptake and NH4+ tolerance in the giant bamboo Phyllostachys edulis over the broad-leaved tree Castanopsis fargesii at elevated NH4+ may underlie community succession and favor the expansion of bamboo. Tree Physiol. 2020 Oct 29;40(11):1606-1622. DOI: 10.1093/treephys/tpaa086. PMID: 32816018.
[iv] Zou N, Huang L, Chen H, Huang X, Song Q, Yang Q, Wang T. 2020. Nitrogen form plays an important role in the growth of moso bamboo (Phyllostachys edulis) seedlings. PeerJ 8:e9938.
[v] Beatrycze Nowicka, Joanna Ciura, Renata Szymanska, Jerzy Kruk, Improving photosynthesis, plant productivity and abiotic stress tolerance - current trends and future perspectives, Journal of Plant Physiology, volume 231, 2018, pages 415-433, ISSN 0176-1617.
[vi] Gao, Xuan & Li, Zhandong & Yu, Hongmei & Jiang, Zehui & Wang, Chen & Zhang, Yu & Qi, Lianghua & Shi, Lei. (2015). Modeling of the height-diameter relationship using an allometric equation model: a case study of stands of Phyllostachys edulis. Journal of Forestry Research. 27. 10.1007/s11676-015-0145-6.
[vii] Inoue, A.; Miyazawa, Y.; Sato, M.; Shima, H. Allometric equations for predicting culm surface area of three bamboo species (Phyllostachys spp.). Forests 2018, 9, 295.
[viii] Kleinhenz, V. & Midmore, David. (2000). Estimating water usage of bamboo. Access to Asian Vegetables. 28. 1-2.
[ix] Qiu-Fang Xu, Chen-Fei Liang, Jun-Hui Chen, Yong-Chun Li, Hua Qin, Jeffry J. Fuhrmann, Rapid bamboo invasion (expansion) and its effects on biodiversity and soil processes; Global Ecology and Conservation, volume 21, 2020, e00787, ISSN 2351-9894.