La crisi in Medio Oriente si riflette anche sul commercio globale e colpisce anche l'Italia, il quinto Paese dell'Unione Europea (Ue) tra i principali Paesi esportatori di prodotti agroalimentari verso l'Asia, dopo Paesi Bassi (il 18% del totale), Francia (17%), Spagna (12%) e Germania (10%). In particolare, scrive Ismea in un report dettagliato, l'export dell'Italia ha raggiunto 6,1 miliardi di euro nel 2022 (+128% sul 2013), corrispondente al 10% dell'export complessivo agroalimentare nazionale.
Storie antiche e dinamiche moderne
Se gli attacchi dei pirati hanno una storia secolare - iniziata all'epoca dei commerci dei greci nell'Egeo e proseguita con i romani, le cui navi cariche di grano e datteri lungo la rotta dall'Africa alle sponde italiche venivano saccheggiate - e dunque gli attacchi degli Houthi nel 2024 non sono affatto uno scenario inedito, quello che è cambiato è la portata strategica del Canale di Suez, la principale arteria di collegamento fra l'Europa e l'Asia.
Attraverso il Canale di Suez, scrive infatti Ismea, transita gran parte del commercio europeo destinato all'Asia e viceversa. Gli attacchi degli Houthi stanno rendendo il transito insicuro, spingendo molte compagnie a modificare le rotte (circumnavigando l'Africa), con un sensibile aumento dei costi (+40%) e dei tempi di trasporto (più sette, dieci giorni).
I dieci anni del boom
Nell'ultimo decennio, secondo il report di Ismea, a livello globale le importazioni di prodotti agroalimentari dei Paesi asiatici sono cresciute in misura consistente: +112,6% a 739 miliardi di euro nel 2022. In aumento anche le importazioni dall'Unione Europea: +81,9% a 66,7 miliardi di euro nel 2022. Un trend che ha generato un balzo della quota di domanda globale dell'Asia dal 30,4% nel 2013 al 35,7% nel 2022.
Italia quinto esportatore dell'Ue, Giappone prima destinazione
L'Italia è il quinto esportatore dell'Ue verso l'Asia nell'ambito dei prodotti agroalimentari, con il Giappone primo Paese di destinazione (1,75 miliardi di euro nel 2022), che assorbe il 2,9% dell'export complessivo agroalimentare dell'Italia e il 28,5% di quello avviato verso l'Asia. La Cina, con una quota in valore di 570 milioni di euro, si posiziona al secondo posto (9,3% dell'export italiano verso il continente asiatico), davanti alla Corea del Sud (526 milioni di euro, 8,6% della quota di mercato) e all'Arabia Saudita (483 milioni di euro, 7,9% dell'export complessivo italiano verso l'Asia).
Vino al primo posto
Ismea mette in fila i principali prodotti esportati dall'Italia in Asia. Al primo posto per valore si colloca il vino (446 milioni di euro nel 2022 per i vini in bottiglia, pari all'8,5% dell'export totale) e 119 milioni per gli spumanti (5,6% del totale). Al secondo posto la pasta, che raggiunge i 332 milioni di euro nel 2022 (11,9% del totale), seguita dalla cioccolata (303 milioni, 4,9% del totale) e da cialde e cialdine (246 milioni, 4% dell'export italiano verso l'Asia). Due prodotti, questi ultimi, che sono l'espressione tipica del made in Italy che sublima la grande abilità nella trasformazione di prodotti provenienti dall'estero.
Nell'elenco stilato da Ismea su dati Istat, seguono il pomodoro trasformato, che si attesta a 230 milioni di euro (9,4%), con un valore generato in gran parte dall'export di polpe e pelati di pomodoro; i formaggi registrano un fatturato all'export di 258 milioni di euro nel 2022 (7,2% del totale) ripartiti equamente tra formaggi freschi e stagionati.
Nel comparto della frutta, invece, i prodotti italiani maggiormente richiesti dall'Asia sono le mele (181 milioni di euro nel 2022, pari al 21% dell'export complessivo) e i kiwi (60 milioni di euro nel 2022, pari al 12% del totale).
Sol Levante sugli scudi (tranne che per le mele)
Il Giappone si colloca al primo posto per tutti i principali prodotti esportati dall'Italia, ad eccezione delle mele, indirizzate in larga misura verso l'Arabia Saudita (per 69 milioni di euro nel 2022, pari al 38,2% del totale export verso Asia) e dei kiwi, per i quali è la Cina a posizionarsi al primo posto tra gli acquirenti (con 22 milioni di euro nel 2022, pari al 36,9% del totale).
L'Italia, in particolare, rappresenta il primo fornitore dell'Unione Europea verso l'Asia per alcune tipologie di prodotto tipicamente made in, come pasta di semola (332,4 milioni di euro), pelati e polpe di pomodoro (192,7 milioni), mele (181,2 milioni) e kiwi (59,7 milioni). La classifica colloca l'Italia al secondo posto tra i Paesi Ue nei segmenti del vino in bottiglia e del vino spumante (dietro alla Francia), delle passate di pomodoro (dietro al Portogallo) e al terzo posto per i formaggi freschi, alle spalle di Danimarca e Germania.
Dall'Asia all'Italia: import agroalimentare a 4,9 miliardi
Quanto all'import, l'Italia si è approvvigionata sui mercati asiatici per un valore di 4,9 miliardi di euro nel 2022, ma gli equilibri tra scambi sono favorevoli all'export, generando un surplus commerciale pari a 1,2 miliardi di euro.
Indonesia primo fornitore
Osservando la ripartizione territoriale, il report di Ismea inserisce tra i Paesi asiatici fornitori di prodotti agroalimentari dell'Italia l'Indonesia (1,1 miliardi di euro nel 2022), che rappresenta poco meno del 2% dell'import complessivo agroalimentare dell'Italia e il 21,8% di quello in arrivo dall'Asia.
Il ranking vede, alle spalle dell'Indonesia, la Cina (868 milioni nel 2022, pari al 17,7% dell'import asiatico), il Vietnam (656 milioni, 13,4%), l'India (532 milioni, 10,9%) e la Malesia (445 milioni, 9,1%). Una curiosità: lo Stretto di Malacca, collocato tra la penisola malese e Sumatra, per un lungo periodo è stato uno dei punti più colpiti dalla pirateria, faticosamente contenuta grazie ad accordi internazionali e pattugliamenti costanti.
Olio di palma, caffè, seppie e calamari
I principali prodotti asiatici importati dall'Italia nel 2022 sono i seguenti: l'olio di palma raffinato per un valore di 1 miliardo di euro (corrispondente al 21% dell'import complessivo dall'Asia e all'87,6% dell'import totale nazionale di questo prodotto), proveniente in larga parte da Indonesia e Malesia; il caffè non torrefatto per 564 milioni di euro (il 25,8% del totale) da Vietnam e India; le seppie e i calamari congelati per 326 milioni di euro (il 42,4% del totale) per il quale le maggiori forniture provengono dalla Thailandia.
La questione Suez
Lo studio di Ismea evidenzia come i mercati asiatici rappresentino uno sbocco commerciale di grande rilievo per l'Italia. La crisi di Suez e gli attacchi degli Houthi nel Golfo di Aden costituiscono una minaccia concreta per l'export dell'agroalimentare italiano ed europeo.
Un allungamento delle tratte commerciali e dei conseguenti tempi di percorrenza si traduce, di fatto, in un elemento di criticità per i prodotti freschi, come la frutta, altamente deperibili e quindi soggetti a rapido scadimento qualitativo.
Rischio perdita di competitività
In questo contesto, scrive Ismea, emerge un rischio di perdita di competitività delle produzioni nazionali sia sui mercati asiatici per l'atteso incremento dei prezzi di vendita connesso ai maggiori costi del trasporto, sia sul mercato comunitario per la necessità di riallocare almeno in parte i prodotti normalmente destinati all'Asia, con possibile riduzione dei prezzi.
Altri effetti collaterali: il caso delle mele
Accanto alla crisi geopolitica di Suez si inserisce in un quadro per alcuni aspetti già critico. Ad esempio, riporta Ismea, nel caso delle mele, si osserva da alcuni mesi una riduzione consistente delle importazioni dell'Egitto (terzo importatore mondiale con una quota del 5%) a causa della svalutazione della moneta locale; per l'Italia, infatti, la riduzione dei volumi esportati verso questo Paese è stata del 70% nei primi dieci mesi del 2023.
Inoltre, è da considerare che la Polonia, primo fornitore di mele dell'Egitto, dovendo rinunciare a questo importante mercato di sbocco, tenderà ad indirizzare gran parte del prodotto che non riesce a spedire in Egitto e nei Paesi asiatici sui nostri mercati di riferimento, soprattutto in Germania, principale Paese acquirente del prodotto italiano.
Una crisi a doppio senso
La criticità nell'area di Suez costituisce un fattore negativo non solo per l'export europeo e italiano, ma anche nelle importazioni di materie prime e semilavorati, la cui potenziale contrazione potrebbe generare un rallentamento della produzione dell'industria alimentare nazionale, incidendo sulle catene globali del valore.