Il carbon farming rappresenta una potenziale fonte di reddito per gli agricoltori, grazie alla possibilità di sequestrare carbonio nel suolo tramite pratiche agricole sostenibili. Oltre a contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico, questa strategia permette infatti di generare crediti di carbonio da vendere sul mercato. Non bisogna poi dimenticare che queste pratiche, riassumibili sotto il termine di agricoltura rigenerativa, consentono alle imprese di avere suoli più vitali e quindi, in linea generale, più produttivi e resilienti.

 

Tuttavia, la complessità normativa e le difficoltà tecniche rischiano di ostacolare questo percorso virtuoso. Per fare chiarezza su questi temi e promuovere un approccio condiviso, si è tenuto il 26 febbraio scorso, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, un evento dedicato alla presentazione del progetto SHARE, un'iniziativa che attraverso il modello dei living lab mira a creare soluzioni pratiche e scientificamente fondate per il carbon farming.

 

Il progetto SHARE e il concetto di living lab

Il progetto SHARE si inserisce nell'ambito del programma LILAS4SOILS (Horizon Europe), puntando alla creazione di un living lab dedicato al carbon farming. "Un living lab è un ecosistema innovativo e dinamico che combina ricerca scientifica e praticità operativa in ambienti reali", ha spiegato Vincenzo Tabaglio, docente presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, partner del progetto insieme ad Ersaf e Confagricoltura Veneto. L'approccio partecipativo del living lab prevede il coinvolgimento attivo di agricoltori, ricercatori, policy maker e cittadini, promuovendo un processo di co-creazione per sviluppare soluzioni efficaci e condivise.

 

Il Living Lab SHARE si concentra su pratiche agricole che favoriscono il sequestro del carbonio nel suolo, sperimentando soluzioni direttamente nelle aziende agricole coinvolte. L'obiettivo è testare approcci agronomici e adattarli alla realtà operativa di campo, con un focus particolare sulla sostenibilità economica e ambientale delle pratiche proposte.

 

Il progetto SHARE si inserisce nell'ambito del programma LILAS4SOILS (Horizon Europe)

Il progetto SHARE si inserisce nell'ambito del programma LILAS4SOILS (Horizon Europe)

(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)

 

Legislazione: Europa e Italia a confronto

La cornice normativa è uno degli aspetti più complessi e cruciali per lo sviluppo del carbon farming. Il Regolamento Europeo 3012 del 2024 ha introdotto un quadro di certificazione per gli assorbimenti di carbonio, mirato a standardizzare le metodologie di certificazione dei crediti a livello europeo.

 

La normativa nasce dall'esigenza di mettere ordine in un mercato frammentato, caratterizzato dalla presenza di oltre centocinquanta standard di certificazione differenti. "Il nostro obiettivo è creare un sistema di regole armonizzate per garantire certezze agli agricoltori e agli acquirenti dei crediti di carbonio", ha spiegato Valeria Forlin della Dg Clima (Commissione Europea).

 

Il regolamento si fonda su quattro pilastri:

  • Metodologia di certificazione. La certificazione del sequestro di carbonio si deve fondare sul criterio Quality: quantification (deve essere misurato correttamente il sequestro), additionality (le pratiche adottate devono andare oltre quanto previsto dalla normativa vigente e dalle pratiche correnti), liability (il carbonio sequestrato non deve essere rilasciato nuovamente in atmosfera) e infine sustainability (le pratiche di carbon farming non devono essere dannose per l'ambiente).
  • Processo di certificazione. Gli enti di certificazione devono essere riconosciuti dalla Commissione Ue e seguire le linee guida europee per il calcolo e la certificazione del carbonio sequestrato.
  • Registro unico europeo. Entro il 2028 sarà operativo un registro centralizzato che raccoglierà tutti i crediti di carbonio certificati, con l'obiettivo di prevenire frodi e garantire che i crediti non vengano venduti più volte su mercati differenti (double counting).

 

La certificazione del sequestro di carbonio si deve fondare sul criterio Quality

La certificazione del sequestro di carbonio si deve fondare sul criterio Quality

(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)

 

"Con questo registro unico vogliamo evitare il doppio conteggio delle unità di carbonio, un problema che rischierebbe di minare la fiducia nel mercato dei crediti di carbonio", ha sottolineato Valeria Forlin.

 

In Italia, lo sviluppo di una normativa presenta ancora diverse sfide. Secondo Maria Fantappiè del Crea, uno degli aspetti più delicati riguarda la definizione della baseline, ossia il livello di riferimento rispetto al quale misurare i sequestri di carbonio.

 

"Determinare una baseline rappresentativa è fondamentale per non penalizzare gli agricoltori virtuosi che già adottano pratiche sostenibili", ha spiegato Maria Fantappiè. La baseline è cruciale non solo per quantificare correttamente i crediti di carbonio, ma anche per garantire che i progetti di carbon farming portino a benefici climatici reali.

 

Un altro tema chiave è quello della misurazione della sostanza organica nei suoli, un parametro determinante per valutare l'effettivo sequestro di carbonio. Attualmente, esistono diverse metodologie di campionamento e analisi, ma non tutte offrono lo stesso livello di precisione e affidabilità.

 

"Il rischio è che, a causa delle diverse metodologie utilizzate, si possano ottenere risultati incoerenti o non comparabili", ha aggiunto Maria Fantappiè, sottolineando la necessità di standardizzare i protocolli di misura per evitare discrepanze tra le diverse certificazioni.

 

Le sfide aperte del carbon farming

Nonostante le opportunità offerte, il carbon farming presenta ancora diverse sfide aperte.

Tra queste:

  • Contabilizzazione del carbonio sequestrato
    Uno dei principali problemi del carbon farming riguarda la quantificazione del carbonio effettivamente sequestrato nel suolo. Attualmente, non esistono standard condivisi a livello europeo e questo genera incertezza sul valore reale dei crediti di carbonio. "È essenziale sviluppare metodologie di certificazione più precise per evitare discrepanze tra i diversi schemi di certificazione", ha spiegato Valeria Forlin, sottolineando l'importanza di criteri di robustezza e credibilità.
  • Definizione della baseline
    La baseline rappresenta il livello di riferimento rispetto al quale misurare i sequestri di carbonio. Secondo Maria Fantappiè, la definizione della baseline è un processo complesso, che deve tenere conto di variabili come il tipo di suolo, le condizioni climatiche e le pratiche agricole pregresse. "Senza una baseline chiara si rischia di penalizzare gli agricoltori che già adottano pratiche virtuose o di sottostimare gli sforzi compiuti", ha aggiunto Maria Fantappiè, evidenziando la necessità di un approccio equo e trasparente.

 

Focus sulle conclusioni

Focus sulle conclusioni

(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)

 

  • Remunerazione degli agricoltori
    Il carbon farming offre una potenziale fonte di reddito aggiuntiva per gli agricoltori, ma il meccanismo dei crediti di carbonio non è ancora sufficientemente snello e redditizio. Come spiegato da Marco Acutis (Università degli Studi di Milano), il processo di certificazione è costoso e il prezzo dei crediti di carbonio sul mercato volontario è basso; questo scoraggia molti agricoltori, che pure avrebbero dei vantaggi agronomici importanti dall'implementazione di queste pratiche.
  • Premiare chi è già virtuoso
    Un altro nodo irrisolto riguarda il rischio di penalizzare gli agricoltori virtuosi, ossia coloro che da anni adottano buone pratiche agricole per il sequestro del carbonio. A seconda di come si definisce la baseline, la nuova normativa, infatti, potrebbe incentivare principalmente nuovi progetti, trascurando chi ha già investito in pratiche sostenibili.

 

L'approccio di co-creazione del progetto SHARE

In un contesto normativo e operativo complesso, il progetto SHARE rappresenta un'opportunità per sviluppare un modello di carbon farming partecipativo e sostenibile, ha spiegato Andrea Fiorini (Università Cattolica del Sacro Cuore). L'approccio di co-creazione, basato sui living lab, permette di sperimentare soluzioni in campo e adattarle alle esigenze reali degli agricoltori.

 

"La nostra sfida è integrare ricerca scientifica, praticità operativa e coinvolgimento attivo degli stakeholder per sviluppare un'agricoltura realmente rigenerativa", ha concluso Fiorini, sottolineando come la condivisione delle esperienze e il processo iterativo di miglioramento continuo siano gli elementi chiave per il successo del progetto.

 

Cos'è l'approccio living lab?

Cos'è l'approccio living lab?

(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)

 

L'auspicio è che SHARE possa contribuire non solo alla neutralità climatica dell'Unione Europea, ma anche a creare un modello di business sostenibile per il mondo agricolo, capace di valorizzare economicamente le buone pratiche e di supportare gli agricoltori nell'affrontare le nuove sfide del mercato del carbonio.