Il Crea ha pubblicato il Rapporto sul contributo dei lavoratori stranieri all'agricoltura italiana, dando un quadro del numero, della distribuzione, delle mansioni e della provenienza dei salariati non italiani nel comparto agricolo.

 

I dati analizzati nel rapporto si riferiscono in particolare al 2022, anche se sono stati presi in considerazione anche aspetti più vecchi per tracciare delle considerazioni di medio periodo.

 

Così emerge che il numero dei lavoratori stranieri impiegati in agricoltura negli ultimi anni sia stato in costante crescita, con l'eccezione del periodo della pandemia, per arrivare nel 2022 a 425.962 persone.

 

Un numero che è circa il 33% di tutti i lavoratori salariati agricoli, cioè un terzo della forza lavoro assunta in agricoltura, mentre dieci anni prima questa percentuale non superava il 25%.

 

Di queste 425.962 persone, la maggior parte (circa il 59%) provengono da paesi terzi, come India, Marocco, Albania, Senegal, Pakistan, Tunisia, Nigeria, Bangladesh, Macedonia, mentre il 41% arriva dall'Unione europea, in particolare da Romania, Bulgaria e Polonia.

 

E il numero delle persone extracomunitarie tende ad aumentare, mentre quello dei lavoratori comunitari a diminuire.

 

Inoltre, tra i salariati non italiani, i più sono uomini, le donne infatti sono solo poco più del 21% di tutti i lavoratori agricoli stranieri.

 

Per quanto riguarda le zone di lavoro, la maggior parte è impiegata nel Centro Nord Italia, soprattutto nell'ortoflorovivaismo, in frutticoltura, in viticoltura e negli allevamenti.

 

In alcune parti d'Italia, come nelle provincie autonome di Trento e Bolzano, oltre il 50% dei lavoratori è straniero, mentre al Sud la percentuale maggiore di lavoratori non italiani è stata rilevata in Basilicata, dove arriva al 43% della forza lavoro salariata.

 

Dal punto di vista delle tipologie di lavoro, la maggior parte degli stranieri ha un contratto stagionale e quindi un reddito basso, il più basso rispetto ad altri comparti lavorativi nel nostro paese.

 

Tuttavia, il rapporto ha rilevato una tendenza ad un aumento dei contratti a tempo indeterminato, che potrà permettere una maggiore stabilità a questi lavoratori.

 

In generale quindi quello che viene fuori è la forte dipendenza della nostra agricoltura dai lavoratori esteri, in particolare extracomunitari, e, di contro, la sempre minor attrattività di questi impieghi sia da parte degli italiani che degli immigrati comunitari.

 

E possiamo dire che queste stime siano stime al ribasso. Il report infatti prende in esame solo i lavoratori regolari, dal momento che sono gli unici documentabili, mentre tralascia necessariamente tutto quello che è il lavoro sommerso e gli aspetti delinquenziali del caporalato, restituendo quindi dei dati che in alcune zone d'Italia possono essere piuttosto parziali.


Al di là degli aspetti prettamente criminali, il problema del lavoro irregolare in agricoltura, come riportano i ricercatori del Crea, è legato anche alla particolarità del lavoro agricolo e alla difficoltà di reclutamento.

 

Le aziende infatti hanno bisogno di lavoratori per brevi periodi durante l'anno, che variano per periodo e durata a seconda del tipo di coltura. C'è quindi un problema di reclutamento e di gestione della forza lavoro.

 

Le difficoltà nel reclutamento tempestivo, come viene sottolineato nel rapporto, determinano il ricorso a canali non ufficiali di lavoro, sia ingaggiando direttamente i lavoratori, sia rivolgendosi a organizzazioni di lavoratori stranieri (spesso con forme giuridiche poco chiare), il tutto frequentemente aggravato dalla difficoltà di comunicazione dovuta alla lingua.

 

E, secondo i ricercatori del Crea, senza risolvere il problema del reclutamento non si può risolvere il problema della legalità del lavoro degli immigrati.