Abbiamo sempre pensato all'acqua come fonte di vita, strumento essenziale di rinascita. È radicato nei nostri pensieri di agricoltori e di cristiani (e le due realtà molto spesso coincidono). Non per niente la nostra nascita alla vita cristiana avviene attraverso la fonte battesimale e, appunto, l'acqua. È la pace e la serenità della crescita, diametralmente lontana alla violenza dell'acqua come la conosciamo nell'Antico Testamento, con la forza distruttrice del Diluvio universale.

 

Nei giorni scorsi la Romagna e una parte dell'Emilia hanno subìto l'irruenza dell'acqua killer, dopo mesi di siccità. I danni e le ferite sono incalcolabili: quindici morti, più di mille frane attive, 23mila persone sfollate, 2mila aziende agricole finite sott'acqua o, comunque, danneggiate, oltre 250mila animali da reddito e circa quattrocento allevamenti a rischio, con una perdita solo in agricoltura che potrebbe superare 1,5 miliardi di euro.

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Per non parlare delle conseguenze negative che si avranno sui mercati, con la Food Valley romagnola spazzata via: speculazioni sui mercati, un impatto negativo sui consumi, frutteti da estirpare e da reimpiantare e che, logicamente, non entreranno immediatamente in produzione.

 

Ancora una volta, l'uomo ha dimenticato chi comanda. Nell'era dell'Antropocene è ancora la natura che detta la linea, la stessa natura che, secondo il World Economic Forum, contribuisce a generare più della metà del Pil mondiale (44 trilioni di dollari). E proprio al Forum di Davos del 2022 il mondo economico aveva preso consapevolezza, invitando in maniera chiara ad adottare una nuova rotta, usando le leve care ai partecipanti del Summit Mondiale dell'Economia: "Proteggere e rigenerare la natura è fondamentale non solo per la nostra sopravvivenza, ma anche per lo sviluppo economico".

 

La maggior parte degli agricoltori è consapevole del ruolo della natura, dell'ambiente e dell'approccio "nature positive", che deve essere adottato. E lo hanno dimostrato, per primi, gli agricoltori e gli allevatori del territorio. Gli agricoltori sono i custodi del territorio e lo amano senza riserve. Prova ne è il via libera che la Cooperativa Cab Terra di Ravenna ha dato alla rottura degli argini per evitare che la città di Ravenna finisse allagata. O la solidarietà verso gli allevatori che i colleghi emiliani hanno assicurato attraverso la consegna del fieno per gli animali. Una "macchina" degli aiuti che sta operando senza sosta in questi giorni drammatici.

 

Se dopo questa terribile alluvione lo stesso paesaggio regionale cambierà, modificato sotto il pugno violento di un susseguirsi di oltre un migliaio di frane e della forza distruttrice dell'acqua, su un aspetto possiamo concordare: sarà una Romagna diversa, ma non nel cuore. A partire da quello immenso di Image Line® e di AgroNotizie®, che hanno promosso una raccolta fondi per quanti, fra dipendenti e colleghi, hanno subìto gravi perdite (alcuni sono sfollati).

 

Non sono necessarie molte parole, servono azioni concrete, anche fra i lettori, in un momento in cui solidarietà e riconoscenza per i servizi svolti al mondo agricolo si riscoprono valori fondanti di un'intera comunità.

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Non si può perdere tempo e questo vale anche per le istituzioni. Si è accennato, in questi giorni, a cabine di regia per l'emergenza, a progetti per rendere più efficiente la rete idrogeologica, alla creazione di un'agenzia per il dissesto e la prevenzione dal rischio idrogeologico in grado di operare in sinergia con le regioni e i comuni.
Nell'emergenza siamo bravissimi a mobilitarci e a trovare soluzioni. Soffermiamoci per individuare strategie a lungo termine, perché i cambiamenti climatici, la tropicalizzazione delle precipitazioni, la manutenzione degli apparati di sicurezza idrogeologica hanno bisogno di un approccio condiviso, pensato, strutturato.

 

Per ora, Romagna nostra, "tin bota".

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