È cosa ben nota a tutti che l'abilità del giardiniere professionista o dilettante che sia, la si misura nella sua capacità di realizzare un prato perfetto. Fili verdi tutti uguali, bei birilli o bei soldatini di loietto o agrostide, Poa o Festuca, ecco i nostri prati.
Sempre da sfalciare, raccogliendo il residuale per poi smaltirlo oppure, se si è bravi, compostarlo a parte. Un bell'impianto irriguo da controllare ogni anno, concimi e, perché no, un tocco di diserbo.
Un prato pitturato, da mostrare con orgoglio. Assieme all'ulivo maestoso, col vecchio tronco, depredato chissà dove, collocato nel piccolo giardino, da mostrare con orgoglio a dimostrazione di passione, capacità e benessere. Oppure nella grande villa, che vediamo ogni tanto con invidia da un cancello bellissimo, sognando, ecco la nostra fantasia colpita dalla maestosità di un prato perfetto, uniforme. Come si dice: senza un "capello" fuori posto...
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Ma poi, proprio in mezzo in bella vista, ecco la macchia che toglie la felicità raggiunta: l'erbaccia di turno. Potente, vigorosa, di ignota provenienza, misteriosa…
Ebbene tutti hanno fatto o sognato il prato pitturato, lisciato, come un tavolo da biliardo, perfetto nella sua finzione, rigido e impegnativo nella sua gestione. Soprattutto realizzato, e mantenuto, con consumi non indifferenti di denaro, tempo, fatica, acqua e cure, senza comprendere ancora una volta il disegno della vita, senza osservare la bellezza incredibile dello spazio naturale intorno a noi, ancora una volta operando come padroni del Creato, e non come custodi.
Chiamiamo per cortesia queste piante, così diverse tra loro che crescono ovunque e venute "chissàdadove", non più erbacce. Chiamiamole con il loro nome generico di piante spontanee. La pianta spontanea è il sogno del bosco. È quella creatura tenace, che sfida anche pietra e asfalto, e che ha la funzione di colonizzare e proteggere il suolo per conservarne la sostanza organica.
Le piante spontanee sono tenaci, sfidano anche la pietra e l'asfalto
(Fonte: Alfonso Paltrinieri - Associazione Pubblici Giardini)
I semi di queste rimangono silenti nel suolo pronti a risorgere in fase di lavorazione del terreno, anche infastidendo le coltivazioni. Le piante spontanee sono in realtà pioniere della vita, spesso capaci di nascondere proprietà curative al loro interno, indicatrici della condizione del suolo (povero o ricco in sostanza organica, compatto, arido…). Ma sono anche in alcuni casi piante alimurgiche, cioè commestibili, dimenticate dalla tradizione, o piante con capacità curative e officinali in genere.
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Rappresentano l'ultima evoluzione delle piante sul nostro Pianeta: la non specializzazione. La capacità di saper affrontare qualsiasi situazione. La natura ha una incredibile capacità facendo germinare la pianta necessaria per garantire la copertura del terreno, mantenere al suo interno la (poca) ricchezza e permettere così di creare quelle condizioni necessarie all'attecchimento dei semi delle piante superiori, portate dal vento o da chissà quale uccello.
Non a caso nelle realtà più evolute, a fronte di questa consapevolezza, si realizzano prati stabili utilizzando miscele, casomai arricchite con piccole percentuali di leguminose (ad esempio trifoglio nano a fiore bianco). Le leguminose hanno grandi proprietà e grazie ai batteri azoto fissatori che vivono in modo simbiontico nelle loro radici, fissano al suolo l'azoto atmosferico, concimando in modo naturale il suolo. Non dimentichiamo poi la capacità del loro apparato radicale di lavorare il terreno in profondità, migliorandone così le caratteristiche. Il prato migliore è quello che nasce spontaneo per poi, semplicemente, lavorarlo tenacemente con gli sfalci frequenti e lasciando a terra il residuale che ridarà al suolo ricchezza. Gli ultimi sfalci dell'anno, macinando anche le foglie, senza raccoglierle, producendo risultati certamente positivi e senza doverle bruciare o conferirle in discarica.
Sfalcio con foglie
(Fonte: Alfonso Paltrinieri - Associazione Pubblici Giardini)
Nei grandi prati, nei parchi pubblici poi sarebbe opportuno lasciare aree incolte, trinciando eventualmente solo una traccia interna a queste aree a guisa di percorso interno al prato spontaneo. Questa pratica, che prevede la possibilità di fare fienagione o un taglio/trinciatura a fine annualità, permette appunto l'insediamento delle piante superiori, garantisce la presenza degli insetti utili, limita le spese gestionali, favorisce la presenza degli animali selvatici e ne protegge la nidificazione e la vita.
E se questo non basta, pensate alla bellezza e l'armonia di fiori e di colore che hanno questi prati, amici degli insetti impollinatori!
In Olanda ad esempio, anche in aree di pochi ettari, sono presenti diverse stanze verdi: l'area addomesticata con quella selvatica, il prato rasato e la zona incolta, il pezzo di bosco e il viale, l'area gioco e la zona umida.
Una gioia per gli occhi e per il transito, un modo per risparmiare in modo ecologico e fare cultura, spiegando però il perché di queste scelte.
Prato di piante spontanee
(Fonte: Alfonso Paltrinieri - Associazione Pubblici Giardini)
I medici scalzi che vivevano nelle zone più rurali della Cina, prescrivevano una cura generale dei malanni invitando a fare cento passi in campagna e a raccogliere le erbe spontanee trovate per farne un beverone terapeutico. Infine c'è chi sostiene che in ogni luogo, nel corso delle stagioni, in ogni areale crescono nelle zone naturali le piante spontanee capaci di curare le patologie del luogo, e addirittura quelle di quel determinato periodo.
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Tra perplessità e curiosità si resta stupiti di vedere crescere a fine inverno nelle aree boscate e nei prati liberi la farfara e il Farfaraccio, la Pulmonaria e poi la viola mammola, tutte curative tra l'altro, secondo la farmacopea erboristica, delle malattie respiratorie...
A cura di Alfonso Paltrinieri, Associazione Pubblici Giardini, Delegazione Emilia Romagna
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