Che buona parte delle malattie da patogeni che colpiscono l'uomo (il 75%) provenga dal regno animale (e viceversa) era fatto ben noto anche ai nostri nonni. Sappiamo anche che non tutte le infezioni si evolvono in una epidemia o addirittura in una pandemia, ma sappiamo che il grande aumento di scambi internazionale di alimenti, bestiame e ogni genere di merci accelera grandemente la diffusione.
Da anni le maggiori entità scientifiche ci avvertono che si profilano due grandi pericoli per l'umanità: i virus a Rna (come il Covid-19, ebola o l'influenza aviaria) e i batteri antibiotico resistenti. Un avvertimento che oggi sarebbe drammatico ignorare. Per i batteri antibiotico resistenti l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms/Who) in un rapporto del 2019 con l'inquietante titolo "No time to wait" (non c'è tempo da perdere) ha già previsto scenari da tregenda: fino a 10 milioni di morti all'anno nei prossimi 30 anni. Batteri allora banalissimi diventano invece resistenti alla maggior parte degli antibiotici con conseguenze drammatiche sulla salute.
L'abuso di antibiotici avviene non solo nella medicina umana ma anche nell'allevamento, dove si possono impiegare antibiotici "sistematicamente" non per curare ma per prevenire le malattie, accentuare la crescita o compensare inadeguate situazioni igieniche. La migliore ricerca scientifica indica allora una via all'interno dei Sustainable development goal delle Nazioni unite (Sdg3). Il concetto One health (una sola salute) sottolinea come il benessere degli animali, dell'uomo e di tutto l'ecosistema siano intimamente connessi. A questo concetto si aggiunge - ed è fondamentale - anche quello One wealth, ovvero: vi deve anche essere una sostenibilità economica per gli agricoltori e gli allevatori.
Fare goal (in maniera sostenibile) coinvolge quindi scienza, politica e anche mercato. Un bel gioco di squadra.