Nel settore vitivinicolo la competizione è veramente mondiale. E l'Italia questo mondiale lo gioca.

Il 44% della produzione mondiale arriva nell'ordine da Italia, Francia e Spagna. Le prime due sono rispettivamente anche la seconda e la terza piazza di consumo – in questo caso il gradino più alto del podio è saldamente tenuto dagli Usa, il più grande mercato del mondo.
Mentre il consumo è stagnante in Europa, i consumi possono ancora crescere in mercati "maturi" quali il Nord America, l'Australia e la Scandinavia.

Poi ci sono i mercati emergenti: dalla Cina fino a Taiwan, Giappone, Corea e India. Alla grande ondata asiatica può seguire quella africana e sud americana: mercati come il Perù o la Nigeria danno già qualche soddisfazione a qualche ardito esportatore. 

Quale strategia per il futuro per gli italiani? Diremmo senz'altro insidiare il ruolo della Francia come primo della classe per quanto riguarda il valore della produzione e della esportazione, quindi lavorare sull'alta gamma. E impegnarsi per migliorare la redditività delle aziende attraverso l'esportazione.

Secondo una recente indagine di Ernst e Young, presentata al Seeds&Chips di Milano, il 43,2% del totale della produzione mondiale viene esportato. Il valore dell'alta gamma è di 24 miliardi di euro (10-11% del mercato) mentre il valore dei vini di alta gamma in Italia è pari solo all'8-9% del totale.
Secondo lo stesso studio più le aziende esportano più guadagnano infatti, quelle che esportano oltre il 60% del fatturato, hanno performances maggiori con incrementi dell'Ebtda dell'8% rispetto alle altre aziende.
Nel vino si può vincere.