La filiera lineare è morta, l'agroalimentare deve strutturarsi in ecosistema. È questo il concetto emerso dal convegno "Fare meglio italiano", organizzato da GS1 Indicod, associazione che raggruppa 35mila imprese industriali e distributive del largo consumo e diffonde standard mondiali, come i codici a barre.

In un mondo in cui internet e la globalizzazione hanno fatto saltare le vecchie logiche di mercato, solo sistemi complessi, cioè con molti livelli di relazioni al loro interno, possono sopravvivere, mentre l'impresa solitaria è ormai in crisi. Ecco allora che per l'Italia, il cui made in Italy ha ancora un forte appeal nel mondo, è arrivato il momento di abbandonare la contrapposizione tra agricoltori, trasformatori e distributori, per mettersi tutti seduti attorno ad un tavolo ed individuare elementi comuni di interesse.

Per il futuro mi immagino un settore che propone la propria produzione agricola sugli scenari internazionali”, spiega Bruno Aceto, ceo di GS1 Italia. “In cui tutti lavorano assieme per raggiungere obiettivi condivisi”.

In un ecosistema i singoli soggetti mantengono la propria autonomia gestionale, ma sono tenuti assieme da uno schema organizzativo e da una fitta rete di legami e di relazioni che gli consente di muoversi come un'unica impresa. Le reti servono a mettere a fattore comune capacità, competenze e capitali, sommando le risorse di più imprese. La rete permette dunque di alzare l'asticella delle innovazioni che possono essere portate avanti, di velocizzare la loro realizzazione e di generare valore aggiunto.

Durante l'evento sono emersi tre valori chiave su cui il nuovo sistema agroalimentare deve puntare tutto. Prima di tutto la biodiversità, forse il patrimonio più grande che ha l'Italia. Tutti gli ospiti hanno condiviso il principio secondo il quale il made in Italy è sinonimo di tradizione enogastronomica.

Altro elemento essenziale è la trasparenza, da cui poi dipende anche la tracciabilità”, spiega Marco Pedroni, presidente di GS1 Italia e di Coop. “La trasparenza è molto importante non solo per garantire la sicurezza dei prodotti, ma anche perché i consumatori abbiano più informazioni su come utilizzare al meglio ciò che acquistano. Tutte le imprese, quelle agricole, quelle industriali e di distribuzione, devono mettere a disposizione dei consumatori più informazioni. Serve una sorta di etichetta aumentata”.

Come ultimo concetto, forse quello più basilare, ma non per questo dato per scontato, c'è la sicurezza e la legalità. Il settore agroalimentare italiano deve difendere se stesso da chi non segue le regole e mette a rischio non solo la salute dei consumatori ma anche il 'buon nome' dell'Italia a tavola.

Partendo da questi principi le proposte per rafforzare il sistema agroalimentare italiano sono molteplici. La principale è la collaborazione in un ecosistema aperto, in cui tutti gli attori, in passato divisi in filiera, collaborano per offrire prodotti migliori e conquistare mercati esteri.

Qualcuno vorrebbe rottamare completamente la filiera, altri chiedono che non sia demonizzata. Ma nell'agroalimentare 2.0 immaginato da GS1 la parola chiave è disintermediazione: meno passaggi, ma soprattutto azzeramento di quelli che non aggiungono valore ai prodotti.

In questo sistema il ruolo della Pubblica amministrazione non è secondario, anzi, deve guidare il cambiamento e già qualcosa si è visto con la decisione del Mipaaf di lanciare il segno unico distintivo dell'agroalimentare. Un marchio di riconoscibilità che supporterà un grande progetto di comunicazione da 70 milioni di euro. Soldi che verranno utilizzati nei prossimi due anni per promuovere il Segno unico distintivo nel mondo, con un focus su Stati Uniti e Canada.

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