È questa la strada tracciata nel corso della conferenza nazionale “La Natura dell’Italia – Biodiversità e aree protette: la Green Economy per il rilancio del Paese” che si è tenuta presso l’aula magna dell’Università “La Sapienza” di Roma e alla quale ha partecipato il gotha scientifico legato ai temi dell’ambiente e dell’economia, nonché una nutrita schiera di massime cariche istituzionali.
Focalizzata sugli aspetti politici dell’argomento, la seconda giornata ha registrato la presenza, tra gli altri, del commissario europeo per l’ambiente, Janez Potocnik e di diversi ministri. Numerose le defezioni dell’ultimo minuto, tra cui quelle del Capo dello Stato, dei presidenti di Camera e Senato e dei decani di alcuni ministeri, tra i quali quella dell’on. Nunzia De Girolamo.
Non sono neanche mancate sorprese, a partire da una manifestazione di un paio di centinaio di studenti che hanno "movimentato" la mattinata lanciando uova, petardi e fumogeni. “Si è trattato solo di qualche botto di saluto in vista del capodanno”, ha ironizzato il rettore. Per finire con una studentessa che durante l’incontro ha chiesto e ottenuto la parola, lamentando gli effetti nefasti di decenni di politiche di austerity subite da tutto il sistema universitario pubblico.
I numeri dell’ambiente
Contrariamente a quanto generalmente sostenuto, ossia che il verde costituisce un bene dal valore economico non valutabile, nel corso della conferenza sono emersi numeri precisi, che restituiscono una dimensione più che interessante di un settore in cui l’agricoltura svolge in effetti un ruolo, se non centrale, assolutamente sostanziale.
La ricchezza prodotta dai parchi nazionali nel 2011 ammonta a 34,6 miliardi di euro, ovvero il 3,2% di quella nazionale. In queste aree tra il 2001 e il 2011 si è registrato un aumento del 12,7% degli insediamenti produttivi a fronte dell’1,9% della media nazionale.
Le imprese attive nelle aree protette nazionali e regionali sono oltre 756mila (dati Unioncamere), con una epifania di posti di lavoro pari a circa 82mila unità tra il 2011 e il 2012.
Nei parchi nazionali le imprese crescono a velocità doppia rispetto alle aree limitrofe, occupando in media il 10% in più di donne e giovani e mostrando una maggiore propensione sociale e cooperativa.
Nel solo settore agricolo, il 38% delle aziende che risiedono in aree protette (circa 5.000) ha ridotto l’impiego di energia e/o acqua per unità di prodotto negli ultimi tre anni; 1.100 imprese (8%) hanno utilizzato nello stesso periodo energia da fonti rinnovabili e 1.800 aziende (14%) investiranno in tecnologie ambientali nel prossimo triennio.
I parchi rappresentano per lo Stato una partita attiva, stimata da Unioncamere in 1,7 miliardi di euro, ossia 25 volte i costi sostenuti per mantenerli. I parchi nazionali e regionali (24 nazionali, 134 regionali e 30 aree marine protette) coprono circa l’11% del territorio italiano; percentuale che sale al 22% se si aggiungono al computo i 2500 siti di interesse comunitario di Natura 2000. Nel complesso queste aree ospitano il più alto tassi di biodiversità in Europa.
A livello globale i cosiddetti ‘servizi ecosistemici’ sono stati valutati circa 180mila miliardi di dollari annui e a livello nazionale i benefici prodotti dai soli ecosistemi marini valgono nove miliardi; più o meno il valore di due IMU.
La sfida della politica tra ambiente, economia e società
Appurato che l’ambiente rappresenta un vero e proprio capitale, la sua tutela e il contemporaneo sfruttamento sostenibile smettono di essere una semplice opportunità per divenire un imperativo.
Quale sia stato e debba essere il ruolo della politica in questo ambito appare perfettamente riassunto nelle parole del Presidente Giorgio Napolitano, che nel suo messaggio scrive: “La difesa dell’ambiente e della biodiversità, la gestione sostenibile delle risorse naturali, la valorizzazione del paesaggio e del territorio, rappresentano una sfida a cui vanno date risposte urgenti nel nostro paese, colpito anche di recente da eventi calamitosi riconducibili a errori e carenze nella gestione di un territorio fragile e prezioso”.
L’aspetto della cattiva gestione è stato toccato anche dal ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, che ha candidamente dichiarato nella sua relazione che l’impegno principale della sfida non sarà sul "fare", ma sul "disfare" quanto di cattivo è stato già fatto, utilizzando se necessario anche risorse private. Un messaggio forte alla politica quello del ministro che, mentre all’esterno la manifestazione era al suo climax, ha ricordato che la sostenibilità ambientale contribuisce a garantire quella sociale e che quella della "ristrutturazione verde" è un’impresa enorme (prevista la necessità di 65 miliardi di eruro nei prossimi 15 anni), ma che va intrapresa senza ulteriori esitazioni per evitare che la cittadinanza paghi dazio alla maggiore lungimiranza della finanza speculativa rispetto a quella della politica.
“L’utilizzo intelligente e sostenibile delle risorse naturali è un prerequisito per lo sviluppo economico e sociale”, ha dichiarato Potocnik nel suo intervento nel quale ha sottolineato come queste linee guida siano sempre più prepotentemente divenute centrali per l’Europa; quella stessa Europa senza la quale, secondo il presidente del Consiglio Enrico Letta, che ha inviato un videomessaggio, un Paese “tradizionalmente pigro” in tema di ambiente come l’Italia sarebbe ancora privo di una normativa adeguata su questi temi.
Il ruolo dell’agricoltura
L’assenza del ministro De Girolamo ci ha purtroppo privato della più autorevole voce su quale possa essere nel nuovo contesto della Green Economy il ruolo dell’agricoltura.
A voler tuttavia seguire un filo logico e per puro amore di speculazione, si potrebbe sostenere che le aziende agricole dovrebbero virare da un produzione focalizzata sulla quantità, a una imperneata sulla qualità dei prodotti, sviluppando al massimo le unicità positive locali e del Made in Italy. Parallelamente, quelle stesse imprese dovrebbero allargare i propri orizzonti in un’ottica multifunzionale, entrando ove possibile nel settore delle energie rinnovabili e nell’ecoturismo.
In questo modo sarebbe loro possibile competere in mercati alla loro portata e crescere, sviluppando nuovi posti di lavoro.
Tutte cose che, in barba a chi ancora immagina il settore primario come arretrato, le nostre aziende stanno già facendo da anni.