Per essere una delle punte di diamante del made in Italy, non è che l’agricoltura e l’agroalimentare siano così al centro dei programmi dei partiti.
Se ne parla perché non è possibile non menzionare la parola "agricoltura", ma ognuno presenta ricette parziali, talvolta antitetiche (si pensi agli Ogm).

Nessuna coalizione indica chi ricoprirà la posizione di ministro delle Politiche agricole o dell’Agroalimentare, come alcuni hanno suggerito. Ma non pensiamo sia una scelta fatta in ossequio alla scaramanzia, quanto piuttosto una soluzione per evitare liti interne alle coalizioni o ai singoli partiti.

Agronotizie ha provato a sbirciare i vari programmi elettorali e propone qualche riflessione.

 

Partiamo con Fare per fermare il declino, il movimento di Oscar Giannino, come tributo alla puntualità con la quale ha risposto al nostro appello (e relative domande).
Ma anche perché è lo schieramento che dedica maggiore attenzione al settore primario.
Non le manda di certo a dire il fondatore del movimento, che si schiera contro la burocrazia, parla di sostegno al reddito come welfare a termine, accusa di inefficienza un sistema che lamenta problemi di redditività, nonostante sia assistito.
Fare per fermare il declino propone di ripristinare la norma, abrogata dal Governo Monti, che consentiva anche alle società di capitali di poter optare per la tassazione su base catastale.
Non ci è chiaro, però, l’intento di Giannino quando afferma che “la tassazione patrimoniale sui terreni e fabbricati rurali deve essere oggetto di una profonda riforma, che includa in un’unica voce anche i contributi generali di bonifica, e che consideri la vocazione strumentale dei fabbricati rurali”.
Vuole inserire la patrimoniale? E chi dovrebbe colpire? Gli imprenditori agricoli o i proprietari terrieri? Sarà progressiva per fasce o si dovrà pagare da una certa soglia in avanti? Sarà una tantum o costante ogni anno?
Quando leggiamo che “gli aumenti sconsiderati dell’Imu agricola vanno rivisti”, ipotizziamo allora che tale imposizione non verrà abolita, ma solo riallineata su altri criteri (che però non vengono specificati).
Apre agli Ogm e forse anche alle imprese di meccanizzazione agricola, in quanto sostiene che “i criteri attraverso i quali vengono erogati gli aiuti allo sviluppo, attraverso i Piani di sviluppo rurale redatti dalle Regioni, devono essere fondati su una rigorosa analisi scientifica che riconosca il contributo positivo dell’innovazione tecnologica”.

Indirettamente Giannino boccia l’Unione europea sul pacchetto latte, visto che – parlando dei Consorzi di tutela delle Dop – circoscrive le attività consortili a “garantire al consumatore che un determinato prodotto provenga da un determinato luogo e sia stato fatto secondo un determinato disciplinare di produzione. Qualsiasi altra funzione, pur riconosciuta dalla legge, di controllo dell’offerta e di stabilizzazione del mercato rappresenta una violazione dei principi della libera concorrenza, oltre a un disincentivo agli investimenti proprio nei settori a più alto valore aggiunto”.
Questo ci sembra uno schiaffo dunque a Bruxelles e a quanto sostenuto da più parti del mondo agricolo italiano circa la possibilità di pianificare l’offerta per governare il mercato.
Non manca una strizzata d’occhio alla Lega (?) o a tutti i produttori di latte (non lo sappiamo), con l’ultimo punto del programma nel quale si ipotizza che “l’Italia non abbia mai sforato la quota nazionale ad essa assegnata, e che di conseguenza i prelievi sugli allevatori siano di fatto illegittimi. Qualsiasi decisione in merito alla riscossione dei tributi agli allevatori deve essere subordinata alla piena chiarezza su queste vicende”.


Il Popolo della Libertà sintetizza in quattro punti la voce agricoltura e tiene separata da essa i capitoli su rinnovabili e su ambiente, green economy e qualità della vita.
Il primo punto è “eliminazione dell’Imu sui terreni e i fabbricati funzionali ad attività agricole”. Non è così limpida l’interpretazione, ma per un partito che ha fatto della restituzione cash dell’Imu sulla prima casa un cavallo di battaglia, riteniamo che non vi siano distinzioni fra imprenditori agricoli e proprietari con beni affittati.
Il sostegno ai giovani passa attraverso la riduzione fiscale (in quale misura, però, non è specificato) e “l’attribuzione di appezzamenti del demanio agricolo per creare nuove imprese”. Solo nuove imprese o anche ampliamento di quelle già esistenti, se condotte da agricoltori under 40?
Gli altri due punti prevedono una “maggior tutela degli interessi italiani nel negoziato per la Pac” e la “tutela delle produzioni italiane tipiche dalla contraffazione”, che detta così, senza spiegare come fare e su quali livelli incidere suona vaga (sulle contraffazioni negli Usa, ad esempio, bisogna passare attraverso la Wto o stringere accordi bilaterali e non dall’Ue).
Quanto alla maggior tutela dell’Italia nel negoziato Pac, non ci sentiamo degli spietati aguzzini se ricordiamo al Pdl che nell’ultimo governo Berlusconi si sono succeduti ben tre ministri: Luca Zaia, Giancarlo Galan e Saverio Romano.
Un turn-over un po’ troppo frenetico per pretendere la difesa degli interessi italiani ora che si tratta di delineare la prossima riforma della Pac, visto che le discussioni non sono certo iniziate ieri.


Dopo aver letto “L’Italia giusta”, il programma del Partito democratico in cinque pagine, ci verrebbe da fare il verso al Nanni Moretti di Aprile: “Bersani, di’ qualcosa di agricolo”. Perché il Pd ci pare colpito da stitichezza acuta quanto a idee sul futuro dell’agricoltura.
“Noi immaginiamo un progetto-Paese che individui grandi aree d’investimento, di ricerca, di innovazione verso le quali orientare il sistema delle imprese, nell’industria, nell’agricoltura e nei servizi. La qualità e le tipicità, mobilità sostenibile, risparmio ed efficienza energetica, le tecnologie legate alla salute, alla cultura, all’arte, ai beni di valore storico e alla nostra tradizione, l’agenda digitale”.
Abbiamo riportato il passaggio integralmente perché, in attesa di decifrare il concetto di “progetto-Paese”, francamente ci saremmo aspettato qualcosa di più dal partito che schiera fra le proprie fila – seppur non candidato – l’attuale presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, Paolo De Castro. Il quale, gli va riconosciuto, in questi giorni sta facendo dei tour in lungo e in largo in Italia per dare un po’ di concretezza al vuoto programmatico del Pd.


Scelta civica con Monti per l’Italia, il partito del premier, non si spreca granché con l’agricoltura, anche se dobbiamo dar atto che alla politica agricola è dedicato un paragrafo specifico.

Monti mette le mani avanti e scrive nell’abbrivio del capitolo: “Nel corso dell’attuale legislatura sono state prese diverse misure di semplificazione e rilancio del sistema agroalimentare, ma non è stato possibile portare a compimento alcune importanti iniziative legislative e amministrative avviate”. Non sappiamo se gridare viva la sincerità, o se rispolverare l’adagio “excusatio non petita, accusatio manifesta”. Agli elettori la scelta.

La lotta al consumo di suolo viene riproposta dalla coalizione che vede alleati Udc, Scelta Civica e Fli e che, al 99%, in caso di vittoria confermerà il ministro attualmente in carica, Mario Catania, in campo con il partito di Casini.
L’Agenda Monti prevede maggiore sostegno all’export, aggregazione e valorizzazione dell’offerta per garantire maggiore potere agli agricoltori, la lotta all’agropirateria (come, però?), assicurazioni per la tutela del reddito, accesso più semplice al credito. Tutti progetti che avrebbe potuto concretizzare in questi ultimi 14 mesi. O almeno raggiungere alcuni di questi obiettivi.
Nel programma si legge: “E’ necessaria una forte politica di sostegno all’export per imprese agricole ed industriali contando sul ruolo rafforzato dell’Ice per il settore”. Ma Buonitalia che fine ha fatto? A che punto è l’iter di liquidazione?


Sel (Sinistra ecologia e libertà) auspica l’adozione di un progetto strategico per l’agricoltura, “una porta aperta verso il futuro”.
Il programma, scritto con caratteri color verde penicillina, riconosce che “già oggi in Italia il settore agroalimentare costituisce il secondo comparto economico per entità di valore aggiunto”.
L’agricoltura - che Sel vuole rigorosamente Ogm-free – necessita di “un piano nazionale per contrastare l’abbandono delle campagne, con una franchigia fiscale totale per i giovani agricoltori che si insediano nelle aree demaniali in stato di abbandono; una moratoria del consumo di suolo agricolo, obiettivo che si persegue con una legge urbanistica nazionale che fissa un tetto inderogabile e decrescente al consumo del suolo; difendendo il reddito degli agricoltori, burocrazia e in primo luogo del credito, principale causa dell’indebitamento che sta strangolando la nostra agricoltura.
Il vero salto di qualità dell’agricoltura italiana si chiama cooperazione, aggregazione e integrazione delle imprese agricole, tracciabilità delle produzioni agroalimentari ed eticità delle tecniche di produzione, trasparenza delle informazioni sulla formazione dei prezzi, promozione della filiera corta, tutela delle risorse idriche”.

Ma come, quel “comunista” di Vendola parla di tutto, ma non di patrimoniale? Ma la metteranno o no? Anche con un linguaggio pletorico e barocco, ci piacerebbe sapere da Vendola cosa intende per eticità delle tecniche di produzione, ma anche il significato di franchigia fiscale totale: che vuol dire, niente tasse? Ma fino a che soglia?
Chiediamo l’aiuto di un linguista per interpretare il seguente passaggio: “Difendendo il reddito degli agricoltori, burocrazia e in primo luogo del credito, principale causa dell’indebitamento che sta strangolando la nostra agricoltura”. Capita talvolta che spezzoni di frasi si perdano nel percorso sincopato fra il pensiero e la tastiera del pc, ma in un programma elettorale è un po’ grave.
E già che ci siamo, vorremmo invece chiedere all’ex comunista Bersani se adotterà, qualora vincesse, il programma agricolo di Sel o dell’Agenda Monti.



La ricetta di Rivoluzione Civile Ingroia dice no agli Ogm, sì alle rinnovabili, introduzione di un “cuneo fiscale ecologico, che prevede l’abbassamento della fiscalità sul lavoro in base ai vantaggi per il sistema paese, ottenuti ad esempio dalla diminuzione della CO2 (sic!), dell’inquinamento e dei consumi energetici, colpendo invece chi inquina”.
Rivoluzione civile e riforma agraria, sulle orme di Giuseppe Di Vittorio.
L’ottica è quella dello “sviluppo equilibrato di agricoltura contadina, chiave di volta per la valorizzazione del territorio, contro monocolture”.
Chissà cosa penserà un allevatore della Pianura padana, sulle proposte di Ingroia.

 

Il Movimento 5 Stelle scommette molto sull’energia. Ed è lì che il settore primario viene chiamato indirettamente in causa. Quando si parla di biogas da fermentazione anaerobica dei rifiuti organici, oppure di produzione di biocombustibili e biomasse vergini.
Tra gli obiettivi del capitolo dedicato all’economia si legge: “Impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno”. Un concetto credo sintetizzato ottant’anni fa col termine “autarchia”.
A leggere con attenzione, la lista dei grillini non menziona mai il termine agricoltura, neanche fosse una parolaccia.





Amici agricoltori, tutto chiaro per chi votare?