Giandomenico Gusmaroli, presidente degli allevatori italiani di suini (Anas), non ha dubbi. Ci vuole lo sciopero del prosciutto per dare uno stop alla crisi che da ormai 18 mesi mette in ginocchio il settore.
In Italia la maggior parte degli allevamenti sono specializzati nella produzione del suino pesante (dai 130/140 kg di peso vivo in su), da destinare alla produzione del prosciutto e degli altri insaccati che fanno grande e irripetibile la nostra tradizione salumiera. Ma da molti mesi il mercato penalizza questa produzione con prezzi che non coprono nemmeno i costi di produzione.
Come evidenziato anche da Agronotizie, il costo di produzione del suino pesante si aggira su 1,40 euro per kg di peso vivo. Le quotazioni del 5 maggio sulle principali piazze di contrattazione (Modena e Reggio Emilia), si fermavano ad appena 1,012 e 1,035 euro. Con una tendenza ad ulteriori possibili ribassi. Una situazione che si protrae da troppo tempo per non destare preoccupazioni in merito alla tenuta del settore.
Di qui la proposta, volutamente provocatoria, che è venuta dal rappresentante degli allevatori di non consegnare le certificazioni di qualità che accompagnano gli animali nella filiera della produzione certificata. Di fatto il blocco dei prosciutti Dop, dove è indirizzata quasi la metà della produzione italiana, che assomma a circa 9 milioni di capi.
L'appuntamento con il minacciato sciopero è per fine maggio e per scongiurarlo gli allevatori aspettano un segnale dal ministero dell'Agricoltura, dove si è appena insediato Luca Zaia. Che appena varcherà la porta del palazzo di via XX Settembre dovrà dunque vedersela anche con questa "patata bollente", che si aggiunge alle molte altre già in lista di attesa, multe latte in prima linea.
Ma Gusmaroli ci tiene anche a ribadire che se si giungerà allo sciopero, l'obiettivo non è quello di "fare la guerra" ai macelli, ma sollecitare una risposta ai problemi della suinicoltura, prima fra tutte la tracciabilità del prodotto. Una necessità che prende la mosse dall' elevato livello delle importazioni nel nostro Paese, e che fanno registrare l'ingresso di ben 60 milioni di cosci ogni anno. Una provenienza che non viene evidenziata nelle etichette dei prodotti dopo le lavorazioni e che entra in concorrenza diretta con il prodotto italiano, mortificando gli sforzi dei nostri allevatori che per produrre un suino pesante devono sostenere costi maggiori rispetto a quelli di un suino leggero, come quelli che escono dagli allevamenti del Nord Europa, nostri principali fornitori.
La tracciabilità deve poi trovare un punto di sostegno in una adeguata pianificazione produttiva da parte dei Consorzi di tutela dei prosciutti Doc, insieme ad una più pregnante politica di promozione dei nostri prodotti sui mercati esteri. Lo spazio parrebbe esserci visto che proprio nello scorso anno si è registrato un incremento del 9% della quantità di prodotto commercializzato oltre frontiera. Preoccupa però la divisione del settore che anche sul fronte della trasformazione non sembra dare grandi spazi alla sinergia fra le aziende. Le antiche rivalità nate sui mercati locali del passato non sembrano ancora superate, mentre il processo di globalizzazione richiede un grande sforzo coordinato e condiviso da parte di tutti i protagonisti della filiera. Anche questa è una condizione indispensabile per uscire dalle attuali difficoltà. Le crisi, si dice, hanno come contropartita una spinta dei settori produttivi ad evolversi in senso positivo. Che almeno il comparto suinicolo ne sappia fare tesoro.