Quella che sta colpendo il settore suinicolo è  una crisi che coinvolge gran parte dei paesi europei. Se ne è discusso anche in occasione dell'ultima riunione del Consiglio dei ministri agricoli della Ue, che si è tenuto il 14 aprile a Lussemburgo. Francia, Belgio, Germania, Spagna, per citare alcuni dei Paesi intervenuti sull'argomento, hanno ricordato l'importanza di sostenere il settore continuando a mantenere attivo il regime di restituzioni alle esportazioni. La speranza che le forti difficoltà degli allevatori di mezza Europa potessero dare vita ad altre iniziative di sostegno sono state presto raggelate. Il Commissario Marianne Fischer Boel ha infatti escluso che al momento possano essere messi in campo altri interventi a sostegno delle aziende.

Gli allevatori devono così continuare a fare i conti con un mercato sempre più difficile e che vede in maggiore difficoltà proprio gli allevamenti italiani. La nostra suinicoltura, infatti, è per gran parte indirizzata alla produzione del suino pesante, da avviare lungo la filiera della trasformazione, per la produzione di prosciutti e salumi la cui eccellenza ci è invidiata in tutto il mondo. Ma il suino pesante si porta dietro due fattori negativi. Il costo di produzione, assai più elevato rispetto a quello del suino leggero e il prezzo di mercato che è invece più basso. Mentre un suino leggero per la produzione di carne fresca viene quotato 1,27 euro al kg, il suino di 130/140 kg si ferma a quota 1,02 euro (mercato di Modena, 16 aprile 2008).

Ogni chilo di quello stesso suino pesante costa però all'allevatore almeno 1,40 euro. Con il risultato che per ogni suino venduto l'allevatore va incontro ad una perdita secca di oltre 50 euro. Una situazione che si protrae da oltre un anno e che sta mettendo in forse la sopravvivenza di molti allevamenti.

Le origini vengono da lontano. Come ricorda la Cia in un suo comunicato, “il prezzo medio dei suini è diminuito dell’8 per cento rispetto al 2006, mentre il costo dei cereali e dei semi oleosi indispensabili per l’allevamento ha fatto registrare, rispettivamente, incrementi del 50 e del 20 per cento. Non solo. Gli stessi consumi di carne suina fresca sono scesi, sempre nello scorso anno, del 4,6 per cento e quelli di salumi dell’1,1 per cento.”

A rischio, insieme al settore suinicolo, c'è l'importante filiera dei prodotti Dop, prosciutti in primo luogo, la cui materia prima non può che essere legata al territorio. Il non trascurabile flusso di importazioni di cosci suini (nel 2007 ne abbiamo importati ben 60 milioni, come riferisce  l'Anas – associazione nazionale allevatori suini) viene infatti destinato alla produzione di prosciutti che non sono a marchio Dop. La cui presenza sui mercati al consumo, inevitabilmente, va a concorrere in termini di prezzo (non certo per la qualità, spesso modesta) con i prosciutti marchiati, accentuando se possibile la già difficile situazione.

Alle difficoltà del mondo produttivo si associano poi quelle dei trasformatori, alle prese con un consumo sempre più attento al prezzo finale, in una congiuntura del sistema Paese che non lascia sperare al momento in una rapida svolta.

Dunque una crisi destinata a durare e che può essere affrontata solo da un'alleanza fra allevatori e trasformatori. Oggi sono ancora su posizioni contrapposte come dimostrano anche le difficoltà sulla piazza di Mantova di giungere alla definizione del prezzo di mercato, un dato assente ormai da troppe settimane. Ma suinicoltori e industrie del settore sono sulla stessa barca, bisogna prenderne atto e operare di conseguenza. L'esempio che viene dai Consorzi di tutela dei due grandi formaggi italiani, il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano, possono fare scuola. Piani produttivi allineati alle richieste del mercato e promozione sui mercati esteri potrebbe essere anche per la suinicoltura la risposta da dare alla crisi. Possibile solo se i protagonisti della filiera si decidono a lavorare insieme e in sintonia. Altrimenti…

 

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