I rincari dei prodotti agroalimentari, a cominciare da pasta, pane, latte e ortofrutta, non sono causati dell’agricoltura, ma da una filiera troppo complessa che genera aumenti ingiustificati e speculazioni. A sottolinearlo è la Cia - Confederazione italiana agricoltori che nel giorno dello “sciopero della spesa” proclamato dalle associazioni dei consumatori, di cui condivide le motivazioni, ribadisce che prezzi agricoli all’origine in un anno (agosto 2006-agosto 2007) sono diminuiti in media del 2,8%, con cali record per frutta (-15,2%), ortaggi (-11,5%), suini (-10,8%) e bovini (-8,0%), mentre al consumo l’incremento è stato del 2,6%. Siamo in presenza - secondo la Cia - di manovre artificiose: dai campi alla tavola si registrano aumenti anche di 20 volte nel settore ortofrutta. In media su un prodotto ortofrutticolo l’incidenza della fase produttiva (il prezzo praticato dal produttore) è tra il 18 e il 20%. Un aspetto ancor più appariscente nel Mezzogiorno, dove per alcuni prodotti (uva da tavola, arance e limoni) l’agricoltore ricava appena un quinto del valore finale. Il discorso per i derivati dai cereali (pane e pasta in testa) non cambia. La Cia ricorda che l’aumento dal grano non può determinare le impennate al consumo che si registrano in questi giorni. A ciò si deve aggiungere che oggi il grano duro in Italia ha una quotazione di 26 euro al quintale, la stessa cifra del 1985. Sui prezzi finali di pasta e pane l’incidenza agricola è del 10% e del 13%. Esempio emblematico uello del latte: alla stalla un litro costa 0,34 euro, mentre al consumo arriva ad 1,40 euro. La fase di produzione è quella più penalizzata.