Secondo le normative europee in materia di commercio e sicurezza (Reg. CE n. 178/2002, n. 853/2004 e n. 854/2004), i cacciatori sono considerati produttori alimentari primari, al pari di agricoltori e allevatori e, a determinate condizioni, possono vendere la selvaggina da loro cacciata. Allo stesso modo, dal punto di vista della domanda, negli ultimi anni si è registrato un notevole aumento della popolarità della carne di selvaggina ottenuta tramite attività di caccia. Infatti, le carni degli ungulati selvatici hanno caratteristiche nutrizionali ottimali, possono essere considerate un alimento ecologico e locale e rappresentano un'alternativa sostenibile alla produzione intensiva di carne bovina, suina o di pollame. La crescente domanda e disponibilità di questi prodotti ha portato allo sviluppo di un numero crescente di mercati emergenti di carne di selvaggina cacciata in molti paesi sviluppati, inclusa l'Europa. Tuttavia, la diffusione del mercato per questo prodotto è spesso ostacolata dalla mancanza di una filiera di approvvigionamento alimentare strutturata. Questo si riscontra in modo particolare in Italia, in cui al settore venatorio continua ad essere associata solo una connotazione ricreativa e sociale.
Anche dal punto di vista scientifico, nonostante il crescente potenziale del settore venatorio, solo pochi studi economici prendono in considerazione questa tematica. Inoltre, non esistono ricerche che considerino il contesto italiano.
Date queste premesse, nonché la particolare vocazione dell'Italia per la produzione di alimenti di alta qualità, la tesi di dottorato si inserisce all'interno dei progetti di ricerca “La filiera Eco-Alimentare. Progetto per la valorizzazione delle carni di selvaggina: la gestione di prodotto sostenibile come strumento di stimolo al miglioramento ambientale dei territori alpini” e “Processi di filiera Eco-Alimentare. La gestione di prodotto sostenibile per lo sviluppo dei territori alpini”, coordinati scientificamente dalla Prof.ssa Anna Gaviglio (Phd Tutor, Università degli Studi di Milano – Dipartimento Vespa), Capofila Associazione per lo sviluppo della cultura, degli studi universitari e della ricerca di Verbania Cusio Ossola - Ars.Uni.Vco, e finanziato da Fondazione Cariplo (Bandi Comunità resilienti 2014 e 2016).
L'obiettivo della ricerca è stato quello di fornire un contributo al possibile sviluppo della filiera locale italiana della carne di selvaggina ottenuta tramite attività di caccia attraverso un approccio di natura bio-economica, basato su una corretta pianificazione del prelievo venatorio volto a rendere le comunità maggiormente resilienti agli squilibri ambientali derivanti dal sovrannumero di ungulati selvatici.
La tesi si struttura come un'analisi di fattibilità step-by-step che prende in considerazione tutti gli attori coinvolti in un'ipotetica filiera, con l'obiettivo finale della creazione di un nuovo mercato.
Attori coinvolti e flow sheet del prodotto carne di selvaggina lungo la filiera
Considerando i risultati della ricerca, si può ragionevolmente presumere che il settore venatorio italiano presenti caratteristiche interessanti in termini di quantità offerta di carne di ungulati selvatici. Tuttavia, la carne spesso manca ancora degli standard igienici e di qualità richiesti per il commercio. Il basso livello di istruzione e l'età dei cacciatori sono sicuramente alla base dei comportamenti non adeguati; il background culturale italiano del settore venatorio rappresenta probabilmente la più importante resistenza al cambiamento. Tuttavia, va sottolineato che una parte dei cacciatori intervistati conosce le buone pratiche di caccia e di gestione e lavorazione della carcassa in seguito all'abbattimento; l'evoluzione e il miglioramento del comportamento dei cacciatori sono quindi possibili e i responsabili politici e i ricercatori dovrebbero studiare gli incentivi per promuovere questi cambiamenti.
Analizzando la potenziale dinamica del valore della carne di selvaggina, è emerso che esso potrebbe essere un incentivo adeguato per i cacciatori per migliorare le loro modalità di caccia. In questo senso, il perseguimento di elevati standard qualitativi della carne attraverso l'adozione di buone pratiche di caccia, permetterebbe una massimizzazione del loro profitto. Di conseguenza, la creazione di un mercato nuovo e strutturato porterebbe benefici anche ad altri stakeholder (ad esempio trasformatori, ristoratori, decisori politici) coinvolti nella filiera attraverso la diversificazione della produzione, la maggiore disponibilità di carne prodotta localmente, la garanzia della qualità e sicurezza del prodotto selvatico e la gestione della problematica di sovrappopolazione della fauna selvatica senza alcun costo per il pubblico.
La potenziale dinamica del valore della carne di cervo
Se una catena di approvvigionamento di carne di selvaggina cacciata sia economicamente sostenibile dipende dalla presenza di una domanda per questi prodotti, che a sua volta dipende dal modo in cui i consumatori li percepiscono. A questo proposito, è possibile affermare che, se ottenuta seguendo pratiche di caccia rigorose e regolamentate, la selvaggina possiede caratteristiche richieste dal consumatore “moderno”. Essa infatti può essere considerata una produzione sostenibile, biologica, e che garantisce il più alto livello di benessere animale, in quanto gli animali selvatici sono liberi di esprimere il loro comportamento naturale e sono “grass-fed” (nutriti ad erba, senza l'utilizzo di mangimi).
Inoltre la carne di selvaggina ha delle ottime caratteristiche nutrizionali, con basso contenuto di grassi e colesterolo, un ottimo rapporto di grassi omega 3: omega 6 ed un elevato contenuto di sali minerali. I risultati relativi allo studio del consumatore hanno mostrato l'esistenza di importanti asimmetrie informative tra consumatori e produttori (cacciatori e trasformatori) che potrebbero costituire un ostacolo al consumo. I consumatori, infatti, spesso non sono consapevoli del fatto che la caccia può essere praticata eticamente e che si tratta di un'attività soggetta a una regolamentazione rigorosa e ben definita. Solo migliorando le conoscenze dei consumatori sulla carne di selvaggina è possibile aumentare la probabilità del suo consumo.
Conoscenza oggettiva relativa alla carne di selvaggina ottenuta tramite attività venatoria nei diversi cluster di consumatori
La presente tesi di dottorato contribuisce allo sviluppo di un nuovo mercato professionale italiano analizzandone la fattibilità da diversi punti di vista. Nel complesso, i risultati di questo studio possono aiutare i responsabili politici a progettare nuovi interventi strategici ed efficaci per la gestione della sovrappopolazione dei grandi ungulati (i.e. formazione dei cacciatori per aumentare la consapevolezza dei cacciatori sul loro ruolo di base; campagne di informazione per aumentare la conoscenza dei consumatori; sostegno finanziario per sviluppo di centri di controllo per le carni; elaborazione di regole ufficiali per le specifiche di produzione; organizzazione di incontri tra le parti interessate; creazione di disciplinari di produzione e marchio di qualità).
L'approccio proposto vede un'analisi interpretativa ed operativa finalizzata allo sviluppo economico ed ecosostenibile delle aree montane, e rappresenta il primo tentativo di valutazione delle opportunità e rischi per una filiera professionale della carne di selvaggina cacciata. La ricerca svolta costituisce la prima indagine Italiana finalizzata allo sviluppo di una filiera garantita per le carni di selvaggina che prende in considerazione tutti gli attori coinvolti. Aspetto chiave di tale ricerca è la sua replicabilità in altri contesti.
Maria Elena Marescotti, categoria "Valorizzazione delle produzioni made in Italy"
(Fonte foto: © Maria Elena Marescotti)
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Per eventuali contatti: maria.marescotti@unimi.it
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Fonte: Agronotizie