Una calma apparente per tutto il 2015 dovrebbe governare i prezzi del mercato lattiero caseario su scala internazionale. Per la ripresa si dovrà attendere il 2016.

Queste sono le previsioni degli analisti a livello internazionale, rilevate e rielaborate da Angelo Rossi, fondatore di Clal, che il 28 e 29 maggio scorsi ha organizzato il 5° Dairy Forum di Bardolino (Verona), appuntamento che coinvolge il sistema lattiero caseario mondiale, con relatori provenienti da ogni area del pianeta.

Situazioni impreviste come siccità, eventi climatici, guerre – osserva Angelo Rossi – potrebbero naturalmente cambiare rapidamente lo scenario, ma possiamo attenderci, al netto di eventi eccezionali, un 2015 all’insegna di una domanda moderatamente in crescita, in grado di non imprimere oscillazioni marcate alle mercuriali”.

Serve conoscere i dati, analizzarli e impostare strategie di intervento con grande rapidità”, afferma Rossi, che suggerisce l’idea di istituire un centro studi scientifici internazionale e incassa già i primi via libera nel corso del Dairy Forum.

Ormai i mercati sono globalizzati e interconnessi, anche quando si pensa che non sia così. L’esempio calzante arriva dall’India, che con 140 milioni di tonnellate, pari al 17% della produzione mondiale, è il primo Paese produttore (e anche consumatore) al mondo.
Una realtà, rappresentata da stalle per il 48% costituite da meno di 2 vacche o bufale e nell’86% dei casi con meno di 10 capi. In totale, il numero di animali del settore lattiero si aggira intorno ai 300 milioni (200 milioni di vacche, 100 milioni di bufale). Il trend è in crescita, sia in termini di produzioni che consumi.

Nel 2020 la produzione dovrebbe arrivare a 181 milioni di tonnellate di latte vaccino e bufalino”, prevede Rupinder Singh Sodhi, manager di Amul, cooperativa fondata nel 1946, che ha un fatturato oggi intorno ai 4,6 miliardi di dollari, grazie a una base di 3,3 milioni di famiglie-fornitrici, situate in 17mila villaggi del subcontinente indiano.
Desideriamo incrementare la nostra produzione e i consumi di latte, ma in autonomia, perché il nostro è un mercato estremamente particolare – spiega Sodhi -. Nel recente passato, un import del 2% del fabbisogno ha comportato inaspettatamente il crollo del prezzo del latte in India e noi non possiamo permetterci una volatilità troppo marcata, perché altrimenti le famiglie non riuscirebbero più a mantenersi con uno o due animali e dovrebbero disfarsene, mettendo in pericolo la stessa struttura del sistema produttivo indiano”. Senza costi di produzione rilevanti, il latte oggi in India viene pagato 42 centesimi di euro al litro.

Asia e Medio Oriente hanno un peso crescente nell’equilibrio del mercato globale, seppure la Cina abbia intrapreso un percorso di crescita interna. In aprile, infatti, se si escludono il +23,8% del latte per l’infanzia e il + 3,43% sul latte confezionato, i parametri tendenziali sono tutti negativi: -64,67% l’import di polvere di latte intero, -35,02% l’import di burro.

Il mercato in futuro sempre di più sarà connesso all’export, che per i grandi produttori di latte (fra cui l’Unione europea) rappresenterà la main strategy per crescere. In che modo, poi, si potranno incrementare le esportazioni dipenderà molto dalle filiere, dai grandi player, dalle situazioni internazionali.

L’embargo russo, ad esempio, ha creato non poche difficoltà all’Ue-28, con alcuni Stati che sono riusciti a triangolare l’export verso la Federazione Russa servendosi della Bielorussia come Paese-ponte. L’europarlamentare Paolo De Castro, in collegamento col Dairy Forum di Clal, si mostra moderatamente ottimista sull’atteggiamento degli Stati membri che potrebbero revocare le sanzioni alla Russia nelle prossime settimane.

Anche sull’accordo di libero scambio commerciale fra Ue e Usa (Ttip), De Castro, che è relatore permanente per l’Unione europea, è fiducioso in un esito positivo, anche nella tutela di Dop e Igp.

La pensa diversamente Michel Nalet, presidente della European Dairy Association (Eda), che dal palco invia all’ex ministro del governo Prodi un messaggio molto chiaro: “L’Europa non ci sta aiutando sul versante dell’internazionalizzazione, dell’evoluzione del negoziato sul Ttip sappiamo poco e in Asia, mentre altri paesi stanno cercando canali diplomatici e commerciali per poter esportare prodotti lattiero caseari, Bruxelles è del tutto assente”.

E non è affatto secondario avere delle soluzioni per poter destinare il surplus produttivo che, nei calcoli di Eda, per l’Europa dovrebbe salire a 25 milioni di tonnellate nel 2024, dal momento che le produzioni arriveranno a 170 milioni di tonnellate, a fronte di un consumo di 145 milioni. Quali direzioni potrà prendere l’eccedenza in Europa, Stati Uniti e Australia? Per Giulio Mengoli, presidente di Tetrapack Italia, saranno i Paesi in via di sviluppo a incrementare i propri consumi, oggi a 27 litri pro capite, contro i 54 dei Paesi sviluppati. Le rotte saranno verso l’Africa, il Medio Oriente, il Sud-Est Asiatico, la Cina.

A riguardo Fonterra ha strategie ben definite. Lo dice chiaramente Francis Reid, Policy and Advocacy manager del gruppo che nella sola Nuova Zelanda raccoglie 1,7 miliardi di litri di latte e ha una rete globale di quasi 11mila produttori. “Entro il 2025 – rivela Reid – vogliamo raggiungere due miliardi di clienti nel mondo”.

Che cosa si esporterà nel mondo? Commodity lattiero casearie, senza dubbio, ma non solo.
I consumatori chiedono prodotti specifici, una storia produttiva alle spalle, sicurezza alimentare, prodotti che emozionino”, chiarisce Mengoli. L’Italia, che dirotta il 51% del latte alle produzioni Dop, dovrebbe trarne adeguati vantaggi. Ma la crisi e la diminuzione dei consumi, almeno nel mercato domestico, si fanno sentire e influiscono sulle strategie per la penetrazione del mercato. Tanto che, afferma Francesco Biella di Iri, “il 28%, in termini di valore, dei formaggi Dop a pasta dura in Italia, è stato venduto in promozione”.

Il colosso danese Gea, invece, ha adottato la linea degli “ingredients”, grazie a impianti in grado di diversificare, ridurre i costi e innalzare la sicurezza alimentare, “perché bisogna poter raggiungere mercati lontani e poter avere un’offerta differenziata, che intercetti magari nuovi consumatori”, dice Mortem Lykke Poulsen, global innovation manager di Gea. “Il siero – prosegue – una volta o veniva buttato via oppure era destinato a scopi zootecnici. Oggi le innovazioni hanno portato a una sua valorizzazione”.