C'è una notizia che sta rimbalzando su Internet da un notiziario all'altro, dove si grida allo scandalo per l'ennesima scoperta di farmaci utilizzati illegalmente nelle stalle. Ed è un affollarsi di titoli ad effetto, come “latte connection” o “bovini dopati”, che mettono inutilmente paura. Poi, approfondendo la lettura, si scoprono stranezze che lasciano dubitare non tanto sulla verità delle indagini (che ci sono sempre e funzionano, come anche questo episodio dimostrerebbe se confermato), ma sull'entità del presunto illecito. Perché si parla di farmaci “tipo aspirina” e di antibiotici. Nulla di anormale, anche le vacche si ammalano, semmai va verificato se questi questi farmaci erano regolarmente prescritti. E magari chi grida allo scandalo è lo stesso che pur non avendo la ricetta ha chiesto al proprio farmacista un farmaco (magari proprio un antibiotico) per curare un'influenza. Non per giustificare comportamenti illeciti, ma solo per dar loro una “dimensione” più aderente alla realtà.

Numeri inverosimili
Ma i dubbi sulle vacche “dopate” crescono quando si passa ai “numeri”. La quantità di latte sottoposto a vincolo sarebbe di soli 800 quintali (ma quando si scrive 80mila litri, sembrano di più), per un valore di 30 milioni di euro! E qui si sono confusi i milioni con le migliaia, pazienza. Che dire poi del numero di bovini sottoposti a indagine. Secondo alcuni siti internet che si occupano di attualità si tratterebbe di 15 o 20mila animali distribuiti in 31 allevamenti nel triangolo fra Cremona, Rovigo e Parma. Dunque allevamenti che hanno mediamente 600 capi in produzione. Difficile credere siano numeri esatti. Allevamenti così grandi in Italia ce ne sono pochi, incredibile trovarli tutti in un'area ristretta, seppure a forte vocazione zootecnica.

Evviva i controlli
Un allarme , ancora una volta, che sembra esagerato. Ma anche se l'entità di questi presunti illeciti è più limitata di quanto l'allarmismo faccia credere, resta la conferma dell'ottimo lavoro che le forze dell'ordine, non importa a quale Arma appartengano, svolgono con attenzione e scrupolo per tutelare consumatori e allevatori onesti che sono i primi ad essere danneggiati dai comportamenti illeciti dei loro colleghi. Un lavoro, questo delle verifiche nell'agroalimentare, che rappresenta un'importante e indispensabile salvaguardia del buon nome delle nostre produzioni, certo fra le più controllate e sicure. Un impegno che meriterebbe di essere evidenziato da etichette trasparenti con l'indicazione della provenienza, come gli allevatori italiani vanno chiedendo da tempo, senza successo, a Bruxelles.