E'dall'inizio dello scorso anno che un regolamento comunitario (933/2008) stabilisce che ovini e caprini debbano essere identificati in maniera certa sia con le marche tradizionali, sia con i più moderni sistemi di identificazione elettronica. Una misura che già prendeva corpo nel 2004 (regolamento CE 21/2004), all'indomani di importanti epizoozie di afta che avevano costretto all'abbattimento di migliaia di animali dei quali non si conosceva la provenienza. Così, al fine di prevenire analoghe situazioni e per favorire la completa tracciabilità delle produzioni, si è deciso di procedere ad identificare con certezza ogni animale sia con i marchi auricolari sia con i dispositivi elettronici. Questi ultimi possono essere di varie tipologie, dai microchip da inserire sotto cute, ai boli ruminali dotati di transponder. Tutti sistemi che hanno già dato ampie garanzie di funzionalità e affidabilità.

Burocrazia a fin di bene
Alla identificazione degli animali i regolamenti comunitari abbinano la tenuta di registri di allevamento, documenti di circolazione per il trasporto degli animali e un “registro” nazionale che censisca aziende ed animali. Insomma un bel po' di burocrazia in più che pesa sugli allevamenti ovini e che trova giustificazione solo nella promessa di una completa tracciabilità delle produzioni, utile sia per dare garanzie al consumatore, sia per favorire un più efficace controllo nelle emergenze sanitarie.

Il ricorso
Non tutti gli allevatori si sono detti disponibili a sopportare supinamente le nuove imposizioni. I “movimenti” contro questi regolamenti hanno trovato terreno fertile soprattuto presso gli allevatori tedeschi che per mezzo di una loro associazione, la VDL, hanno fatto opposizione denunciando l'aggravio di costi per gli allevatori. L'episodio suscitò un certo clamore, come riferito oltre un anno fa anche da Agronotizie. Alla protesta delle associazioni si è aggiunta la voce di un allevatore, il sig. Schaible, anch'esso tedesco, che si è rivolto al Tribunale amministrativo di Stoccarda (Verwaltungsgericht Stuttgart) lamentando che l'applicazione del regolamento comunitario si scontra con la libertà di impresa e al contempo rappresenta una violazione al principio della parità di trattamento rispetto ai colleghi allevatori di altre specie animali.

La risposta
Il ricorso non è stato preso sottogamba, tanto che da Stoccarda il quesito è passato alla Corte di Giustizia europea, chiamata a dirimere la questione. Per la risposta c'è voluto un po' di tempo, ma la sentenza emessa il 17 ottobre non lascia dubbi. La Corte europea ha infatti confermato per gli allevatori l'obbligo di identificare individualmente gli animali anche con mezzi elettronici e al contempo l'obbligo di tenere un puntuale registro di azienda. Nessun problema poi per la temuta aggressione al benessere animale (era uno degli altri punti contestati), anzi la Corte obietta che la facilitazione alla lotta contro le epizoozie evita inutili abbattimenti di animali sani.

Siamo in ritardo?
Pertanto il Regolamento comunitario mantiene tutta la sua efficacia e va applicato. A dire il vero la sua applicazione doveva comunque avvenire anche senza attendere la risposta della Corte. Dunque si doveva iniziare già dal gennaio del 2012, quasi due anni fa. E molti allevamenti italiani si sono messi in regola, ma il dubbio che ci siano ritardi viene da una visita alla documentazione on-line dell'Istituto Zooprofilattico di Teramo, al quale sono affidate le banche dati nazionali dell'anagrafe zootecnica. I dati relativi al settore ovino e caprino risultano aggiornati al settembre di quest'anno, ma un'avvertenza lascia aperto qualche dubbio. Qui si legge: “Per le specie bovina e bufalina i dati esposti sono da considerarsi ufficiali, mentre per quanto riguarda le altre specie occorre precisare che le diverse Banche Dati sono ancora in fase di implementazione e non ancora complete”. A giustificazione si ricorda che per alcune tipologie di dati non esistono obblighi di legge. Ma a quanto pare per gli ovini questi obblighi ora ci sono. Non facciamoci cogliere impreparati.