Prima ci fu la pecora Dolly, nata in un laboratorio inglese, presto imitata dal toro Galileo, frutto del lavoro di un ricercatore italiano, Cesare Galli. Dolly e Galileo avevano in comune il fatto di essere cloni, animali il cui Dna era perfettamente identico a quello del “genitore” dal quale erano ricavate le cellule di partenza. Animali “fotocopia” accomunati non solo dall’essere cloni, ma anche protagonisti di accese polemiche. Come per gli Ogm, la clonazione ha visto subito il nascere di favorevoli e contrari. Contrapposizioni che prendono le mosse da diverse opinioni etiche, scientifiche ed economiche. I primi giudizi critici vennero proprio dagli allevatori, in particolare da quelli impegnati nella selezione genetica, che nella clonazione vedevano un temibile concorrente al loro lavoro di miglioramento genetico, frutto di un paziente e lungo impegno nella scelta e comparazione di vacche e tori e della loro progenie. E si paventava anche che la clonazione potesse accelerare il processo di consanguineità favorendo la diffusione di pochi Dna “vincenti”. A smorzare gli entusiasmi dei sostenitori della clonazione arrivarono poi le notizie della scarsa vitalità degli animali ottenuti per questa via, più cagionevoli e meno resistenti. Così la clonazione è tornata ad essere argomento per laboratori e ricercatori e sembrava uscita dalle stalle. Solo da quelle italiane ed europee, ma non in quelle statunitensi e sudamericane, dove ha trovato maggiore apprezzamento.
La posizione della Ue
Si è così aperto in Europa un dibattito sull'atteggiamento assumere nei commerci internazionali a proposito degli animali clonati e dei prodotti alimentari ottenuti dalla loro progenie. Ad anticipare i tempi la Danimarca che ha già deciso per un divieto nazionale sull’utilizzo della clonazione per usi commerciali. Ma il Parlamento Europeo non è stato a guardare e già nel 2008 aveva espresso una risoluzione per vietare il ricorso alla clonazione. Un percorso che ora si sta avviando alla conclusione con la sospensione dell’utilizzo di animali d’allevamento clonati. Si tratta, come evidenziato dal Commissario responsabile per la salute e la politica dei consumatori, John Dalli, di misure temporanee che saranno rivedute fra cinque anni. Una decisione che sembra cozzare contro le evidenze scientifiche che confermano l’assenza di preoccupazioni relative alla sicurezza alimentare per gli alimenti ottenuti da animali clonati. Ma la motivazione per la moratoria europea prende le mosse dalla volontà di tutelare il benessere animale, messo a repentaglio dalla “debolezza” riscontrata nei cloni. In più c'è la necessità di completare il percorso normativo sui “nuovi prodotti alimentari” del quale si sta dibattendo a Bruxelles.
“Nuovi alimenti”
Il nesso tra clonazione e nuovi prodotti alimentari è presto spiegato. Tutti gli alimenti che non sono stati utilizzati per il consumo umano prima del 15 maggio 1997 sono “nuovi”. Dunque sono “nuovi” anche gli alimenti ottenuti dai cloni. Sembra quasi un pretesto, non meno della tesi sul benessere animale…o solo un modo per dare maggiore credibilità ad una decisione che sembra dettata solo dalla prudenza. Resta però aperta la possibilità di continuare gli studi sulla clonazione che potrà essere applicata per impieghi diversi dall'alimentazione, come ad esempio la salvaguardia di specie in via di estinzione o l'utilizzo di animali per la produzione di prodotti farmaceutici.
Controlli difficili
Fra i problemi che la moratoria sulla clonazione si porta dietro c’è quello del controllo del materiale di importazione e della tracciabilità, cosa tutt’altro che semplice specie volendo tracciare anche le produzioni ottenute dalle progenie di animali clonati. Ci sarà anche da fare i conti con gli accordi internazionali con i paesi che utilizzano animali clonati e che contesteranno la moratoria come un mezzo indebito per porre vincoli ai rapporti commerciali con la Ue. E uno dei possibili scenari che si apre sul prossimo futuro vede i nostri allevamenti senza animali clonati, mentre i prodotti ottenuti dagli animali clonati (importati) potrebbero essere nei piatti dei consumatori a loro insaputa.