Continua a salire il prezzo del latte “spot”, quello commercializzato al di fuori dei contratti fra industrie e allevatori. Il 29 giugno la Camera di Commercio di Lodi ha rilevato un prezzo massimo di 41,24 euro per 100 litri. Due settimane prima si era a 38,55 euro e a fine gennaio a soli 33,56 euro. Una crescita che non ha conosciuto soste in questi primi sei mesi del 2010. Migliora anche il mercato dei prodotti caseari, dove a guidare la corsa verso l'alto sono i due principali formaggi Dop. il Parmigiano Reggiano con 12 mesi di stagionatura ha toccato il prezzo massimo di 8,90 euro per kg, con un incremento di 70 centesimi rispetto al prezzo medio di gennaio. Il Grana Padano ha raggiunto il massimo di 6,60 euro contro la media di soli 6,03 euro registrata a gennaio. Il settore sembra dunque aver definitivamente messo alle spalle la lunga stagione di crisi e gli allevatori erano per questo fiduciosi che ottenere un aumento con il nuovo accordo sul prezzo del latte sarebbe stato cosa semplice.

 

Le richieste

Scaduto il 30 giugno, l'accordo prevedeva un prezzo di 33,156 centesimi per litro, un prezzo basso e al di sotto dei costi di produzione che gli allevatori avevano accettato di buon grado in virtù della difficile situazione di mercato. Alla trattativa con le industrie del latte, rappresentate da Assolatte, gli allevatori si erano dunque presentati con una richiesta di aumento ritenuta ragionevole, “solo” 40 centesimi al litro, persino meno delle quotazioni del latte spot. E magari disponibili a lasciare sul tavolo qualche centesimo per raggiungere, come sempre accade in queste trattative, un punto di incontro con la controparte. Le industrie si sono però arroccate sulla loro offerta, di appena 34,5 centesimi. Posizioni troppo distanti e in scena è andata la solita rottura della trattativa. Il “rituale” prevede che fra una rottura e un avvicinamento delle posizioni si arrivi (speriamo prima che poi) a un accordo che verosimilmente non sarà lontano dalle richieste (ragionevoli) avanzate dagli allevatori. Intanto ha fatto bene il presidente di Coldiretti Lombardia, Nino Andena (che è anche il presidente di Aia, l'associazione degli allevatori italiani) a “alzare la voce” invitando gli allevatori a ritenersi liberi di portare il latte laddove vengono applicate le condizioni migliori. E poi di riunire allevatori e cooperative del latte per mettere a punto “azioni da intraprendere a difesa del made in Italy e di tutta la filiera.” Che da parte del mondo degli allevatori sia necessario fare uno sforzo per valorizzare ciò che esce dalle proprie stalle ne sono convinti anche in Cia, che chiede alla cooperazione di svolgere quel ruolo che le industrie lasciano scoperto, alla ricerca come sembrano, di convenienze su singoli comparti piuttosto che impegnate nella ricerca di strategie collettive. Per Confagricoltura gli allevatori sono ora nella condizione di cercare nuove possibilità di conferimento del latte. Un modo per ricordare alle industrie che la scadenza dei vecchi contratti lascia liberi gli allevatori di andare dal migliore offerente. Si fa sentire anche OC Latteitalia, la prima organizzazione comune in Italia, 'erede' di Unalat, che ripropone il progetto di agganciare il prezzo ad un indice concordato fra le parti.

 

C’è chi dice no

Assai critica la posizione di Copagri, organizzazione professionale, è bene ricordarlo, che non partecipa però alle trattative sul prezzo del latte. Bollato come “indegno” il prezzo del latte fissato dal precedente contratto, Copagri ha ribadito che il prezzo non può essere inferiore ai 40 centesimi al litro. Una tesi che trova sostegno nei dati resi noti dal recente convegno dell'Edf e del quale si è parlato anche nello scorso numero di Agronotizie. Secondo le analisi condotte da questa associazione europea degli allevatori il costo medio di produzione del latte supera i 41 centesimi al litro. Difficile allora pagarlo meno, sempre che non si vogliano “mungere” gli allevatori piuttosto che le vacche...