La riforma della Pac (politica agricola comunitaria) procede in modo spedito. L’obiettivo è quello di  concludere l’iter legislativo entro il 2008. Con l’inizio del prossimo anno entra in vigore il trattato di Lisbona e anche per l’agricoltura verrà attuato il processo di co-decisione Parlamento e Consiglio europeo. Sempre con il primo gennaio del 2009 ci sarà anche il rinnovo dell’assemblea parlamentare. Due eventi che potrebbero comportare un allungamento di tutto l’iter decisionale dei nuovi regolamenti. Un rischio che si vorrebbe evitare.

E i singoli stati avranno poi tempo sino al primo agosto del 2009 per decidere  quale metodo seguire per applicare i “titoli” attribuiti con il disaccoppiamento degli aiuti. Le due linee direttrici sono il modello “storico” (sulla base delle produzioni realizzate) o quello “regionale”, per aree omogenee. Ed è quest’ultima scelta a preoccupare una parte importante degli allevatori di bovini da carne. Lo ha detto a chiare lettere una nota dell’Uniceb (l’unione che raggruppa gli importatori e i commercianti di carni e bestiame) allarmata da una possibile penalizzazione degli allevamenti da ingrasso, quelli solitamente con poca terra e a carattere intensivo. In pratica allevamenti a ciclo aperto, dove non si ha produzione di vitelli e l’approvvigionamento dei soggetti da ingrasso avviene prevalentemente con l’importazione e dove pertanto la disponibilità di terreno non costituisce un vincolo all’attività zootecnica.


Allevamenti senza terra

Una tipologia di allevamento che si trova praticamente solo in Italia, motivata dalla nostra carenza di grandi superfici da poter destinare a pascolo, presenti invece in molti altri Paesi della Ue. E alla mancanza di pascolo si somma la scarsità di vacche da carne dalle quali ottenere i vitelli da avviare all’ingrasso.

Tanto che ogni anno siamo costretti ad importare 1,2 milioni di capi giovani da avviare al finissaggio nelle stalle da ingrasso, spendendo la bella cifra di 970 milioni di euro.

Se l’Italia deciderà di seguire la strada della regionalizzazione degli aiuti, sostiene l’Uniceb, gli allevatori vedrebbero diminuire fortemente i premi comunitari, che costituiscono una componente essenziale del loro bilancio e senza i quali si vedrebbero costretti a chiudere le stalle. Molte aziende zootecniche, anche per la loro peculiare caratteristica di disporre di poco terreno, sono in possesso di titoli definiti “speciali”, che nell’ipotesi della regionalizzazione sarebbero destinati a sparire.

 

Le soluzioni

A rischio è una parte importante della produzione di carne bovina in Italia, che è bene ricordarlo, è fortemente deficitaria e deve ricorrere alle importazioni per un valore che nel 2006 ha superato 1,8 milioni di euro.

Per evitare che il settore esca eccessivamente penalizzato dalla decisioni prese a Bruxelles, si chiede anzitutto che sia riconosciuto all’allevamento un ruolo strategico con la corresponsione di premi aggiuntivi, “magari legati – afferma Uniceb – non alla produzione, ma alla complessità e onerosità delle regole sulla condizionalità”.

 

Foto Meiaponte Farm