I numeri
Partiamo dal dato negativo. Nell'ambito del framework EUCP, acronimo di EU coordinated control program, rispetto al 2013 la percentuale di campioni di cibi fuori norma sarebbe salita all'1,7% rispetto allo 0,9% del 2013. Fra i 207 campioni che si sono mostrati irregolari su 12.168 analizzati, ve ne sarebbero 59 relativi al solo clorpirifos, i cui limiti negli alimenti erano stati però ulteriormente abbassati. Ciò ha causato un prevedibile aumento dei casi di sforamento.In sostanza, molti di quei residui sarebbero stati in linea con i vecchi limiti, ma non lo erano più coi nuovi. Segno che vanno modificate le abitudini in campo, attenendosi a intervalli di sicurezza più ampi per dar modo al prodotto di degradarsi fino a rientrare perfino nei nuovi limiti.
Un approccio che vale per tutte le molecole i cui residui siano stati ridotti, perché bastano pochi giorni di ritardo in un'applicazione per finire fra i "brutti e cattivi". Infatti, su 157 molecole trovate alle analisi, 56 sono state riscontrate fuori limite in uno o più casi. C'è quindi ancora molto da lavorare sulle buone pratiche di campagna, sebbene il residuo zero sia una chimera irraggiungibile sul lungo periodo, dato che le macchine dei laboratori fra 30 anni troveranno anche ciò che risulta invisibile oggi. Se però lo zero assoluto è di fatto impossibile, migliorare ancora è invece alla portata della fitoiatria. Quindi è doveroso farlo.
Ciò che deve far meditare a fondo è invece la presenza di residui nei prodotti di origine animale di molecole ormai bandite da anni, come DDT, esaclorobenzene e chlordane. Ovvero i cosiddetti POPs (persistent organic pollutant). Essendo affini ai grassi e persistendo nell'ambiente ancora oggi, non è poi difficile trovarli nelle matrici animali a maggior contenuto di grassi. Un rischio che non si corre con le sostanze attive più moderne che non tendono a bioaccumularsi nei tessuti al contrario dei vecchi organoclorurati.
Ancora più numerosi i dati disponibili se oltre all'EUCP si aggiungono i singoli Paesi membri. In tal caso, le molecole cercate sono state 791 in un totale di 84.657 campioni, di cui il 26,4% importati e il 6,6% di origine ignota. In tal caso, il 96,2% è risultato regolare, con il 50,7% di campioni senza residui rilevabili all'analisi. Il 3,8% è invece risultato eccedere i limiti, di cui il 2,2% eccedeva il limite in modo significativo.
Interessante il dato per il baby food, particolarmente sensibile come argomento. Nell'89,8% non sono stati rilevati residui, mentre in quel 10,2% che ne presentava l'1,9% eccedeva i limiti normativi, soprattutto a causa di tre molecole: rame, clorati e fosetil-alluminio. Ognuno mediti su tali evidenze, magari rivalutando alcune posizioni preconcette sui prodotti impiegabili nella protezione degli alimenti destinati ai più piccoli.
Anche il biologico è stato infine esaminato, analizzando campioni senza residui rilevabili nell'83,1% dei casi, ai quali va aggiunto il 15,6% di campioni con residui risultati a norma. Tali residui sono stati spesso rappresentati da molecole di origine naturale o da inquinanti ambientali come appunto i POPs. Infine, l'1,3% dei campioni è risultato proprio irregolare all'analisi.
L'annoso tema del multiresiduo
Gli alimenti non processati hanno presentato più molecole contestualmente presenti nel 32,5% dei casi, con alcuni prodotti particolarmente segnati da tale molteplicità residuale, come l'uva spina (85,7%), il luppolo (81,8%), pompelmi (73,1%), ribes (72%), more (68,4%), uva da tavola (68,1%), lamponi (66,9%) e fragole (65,4%).Contrariamente però a ciò che da più parti si sostiene, ovvero che nessuno si è mai preoccupato di stimare il rischio derivante dal multiresiduo, EFSA ha sviluppato due differenti valutazioni, una di breve e una di lungo termine.
Valutazione di breve termine:
Il rispetto della ARfD (acute reference dose) ha valutato le 122 sostanze attive più significative, trovandone 89 rientranti nelle proprie soglie di sicurezza. Gli altri 33 hanno invece superato almeno una volta l'ARfD. Ciò è accaduto in 209 campioni, pari a circa all'1% del totale analizzato.
In questi 209 campioni, gli alimenti che hanno presentato il più alto numero di sforamenti dell'ARfD si sono rivelate mele (76), lattuga (46), pesche (39) e pomodori (29). Le molecole più frequentemente riscontrate fuori ARfD sono state clorpirifos, iprodione e lambda-cialotrina.
Considerando i risultati ottenuti, EFSA ha quindi definito "bassa" la probabilità di essere esposti a residui di antiparassitari superiori alle soglie oltre le quali non si può essere sicuri che non sussistano effetti negativi sulla salute. In tali casi si entra cioè nel campo dell'incertezza, un fatto che non deve essere affatto confuso con il concetto di danno, come troppo spesso viene fatto invece credere. Tale stima, però, va letta ricordando che analogamente agli ADI anche le ARfD sono già calcolate in modo molto cautelativo.
Valutazione di lungo periodo:
Ancor più importante la valutazione effettuata da EFSA sul lungo periodo, visto che gli alimenti vengono ingeriti per tutta la vita dei consumatori.
L'esposizione cronica ha riguardato tutte le molecole monitorate dall'EUPR, tenendo conto per la prima volta di tutti i generi alimentari, in accordo con i modelli che descrivono le abitudini alimentari dei consumatori. Sono stati quindi calcolati due differenti scenari, fissando cioè un limite superiore e uno inferiore. Nel primo caso si sono considerate le variabili come worst case, cioè sovrastimando il rischio reale rispetto ai campioni che non presentavano residui rilevabili. In sostanza, sono stati considerati positivi anch'essi con livelli ipotizzati uguali al limite di rilevabilità.
Secondo tale scenario "conservativo", l'esposizione è comunque risultata inferiore al 100% del valore dell'ADI, o dose giornaliera ammessa per tutti i pesticidi ad eccezione di alcuni. Per esempio, non sono rientrati nei parametri di sicurezza di lungo termine dieldrin, diclorvos, dimetoato e ziram.
Inoltre, per 142 molecole delle 165 valutate dall'EUPCP, l'esposizione di lungo termine è stata stimata inferiore al 10% della dose giornaliera ammessa. Per 73 di questi, l'esposizione è risultata addirittura inferiore all'1% dell'ADI.
Nello scenario inferiore, considerando zero i residui dei campioni che non hanno mostrato residui all'analisi, è stato ovviamente osservato un margine di sicurezza ancora più ampio. Dal punto di vista del rischio complessivo di lungo periodo, però, nessuna differenza è stata ravvisata in tema di esposizione totale pur cambiando scenario. EFSA ha quindi concluso che secondo gli scenari considerati, risulta improbabile che l'esposizione ai residui attuali costituisca un rischio per la salute dei consumatori.
Ciò non deve stupire o far gridare al complotto delle multinazionali, semplicemente perché - sebbene siano tante le molecole trovate nelle analisi - esse risultano così al di sotto delle proprie soglie di sicurezza che anche la loro contestuale presenza non cambia di molto la sostanza del rischio valutato singolarmente, considerando soprattutto il fatto che l'esposizione alle diverse molecole è alquanto disomogenea nelle quantità, nelle miscele e nei periodi di esposizione.
Infine, un altro aspetto che sul tema "multi esposizione" inizia a destare forti sospetti è quello legato alla molteplicità di sostanze che vengono prodotte da industrie e cittadini, ma delle quali chissà perché ben poco si parla rispetto al clamore generato contro gli agrofarmaci. Perché nel mix di sostanze nocive che ci circondano vi sono decine di prodotti che derivano dalle attività domestiche, dal traffico e dalle emissioni industriali. Tutte esposizioni multiple per le quali nessuno chiede vengano fatte stime al fine di fissare adeguati limiti cumulativi. Né alcuno chiede bandi e cancellazioni "ad molecolam".
Cosa fare per il futuro
Fatti salvi gli scenari attuali, già di per sé tranquillizzanti, cosa può fare l'agricoltura per migliorare ulteriormente il profilo residuale dei cibi?Nulla di ciò che non stia già facendo, ovvero, il lavoro dei prossimi anni non deve fare altro che proseguire nel cammino intrapreso negli ultimi 30 anni. Grazie ad esso, per esempio, in Italia sono diminuiti di circa un terzo gli usi di agrofarmaci rispetto alla fine degli anni '80. Per gli insetticidi, solo negli ultimi 15 anni si è assistito a un letterale dimezzamento degli usi, inclusi quelli dei tanto vituperati esteri fosforici cui appartiene clorpirifos. Uno dei pochi rimasti peraltro, perché oltre a calare nei chili, gli agrofarmaci sono anche calati nel numero a seguito della selezione feroce apportata dalla Revisione europea negli ultimi 25 anni. Sostanze come acephate, metamidofos, azinfos, parathion, fosalone, quinalfos, fenitrotion, eptenofos, sono ormai un lontano ricordo. In sostanza, non solo ne usiamo meno, di "pesticidi", ma il loro profilo tossicologico medio è nettamente migliorato rispetto a quello degli anni '70-'80.
Come se non bastasse, a incidere ulteriormente sulle molecole e sui loro impieghi ci hanno poi pensato la Direttiva "Uso sostenibile", declinata in Italia dall'apposito PAN, nonché i disciplinari regionali di produzione integrata, attivi ormai dai primi anni ‘90. Un processo di riduzione quasi ossessiva di chili e di molecole che, a onor del vero, ha creato e sta continuando a creare diversi problemi agli agricoltori, sempre più poveri quanto ad arsenale, con sempre più resistenze da combattere.
Il mondo della fitoiatria agraria è quindi tutt'altro che fermo come lo si vuole disonestamente descrivere. Né tanto meno sta peggiorando nel tempo, immagine falsa e maramalda appositamente forgiata per dare ai cittadini una percezione opposta di quanto avviene nella realtà.
Ogni pesticida è bello a mamma sua?
Una chiosa sul tema agrofarmaci la merita proprio il binomio Eco-Bio. Stranamente, la decisione a livello europeo di ridurre gli usi di rame metallo da 6 a 4 chilogrammi per ettaro e per anno – una decisione perfettamente in linea con tutto quanto sopra – ha scatenato violente reazioni proprio dal mondo del biologico, cioè quello che da decenni tuona contro i "pesticidi", chiedendone addirittura il bando.O meglio, chiedendo il bando dei "pesticidi degli altri", perché a quanto pare quelli che servono a lui, al biologico, se li vuole tenere ben stretti anche a costo di rinnegare le proprie stesse posizioni ecologiste pluridecennali.
Il cielo salvi quindi il rame, perché senza di esso sarebbero guai per l'agricoltura tutta. Ma magari stando alla larga dai deprecabili semplicismi che per meri interessi lobbistici lo dipingono come acqua fresca solo per giustificarne l'uso che se ne fa e, ancor peggio, per giustificare l'uso allegro che se ne è fatto in passato.
Il silenzio del mondo ecologista
Le animose bio-proteste a difesa del rame, stranamente, non hanno provocato particolari reazioni dal mondo ambientalista, rimasto su questo tema in un imbarazzato silenzio invece di fomentare le usuali preoccupazioni popolari contro i "pesticidi", come per esempio fatto con glifosate di cui si chiede invece il bando punto e basta. Ciò non deve però stupire: dopo tutte le campagne di comunicazione in cui le lobby Bio sono andate a braccetto con quelle ecologiste, l'affair rame deve aver creato qualche disagio negli alleati storici del biologico. Alleati i quali, com'era prevedibile, hanno moltiplicato gli sforzi nella demonizzazione di alcuni "pesticidi degli altri", glifosate e clorpirifos in primis, salvo azzerare il volume quando a finire nei guai è stato un agrofarmaco "amico".E sempre a tal proposito, sarà sempre tardi quando i media la smetteranno di cavalcare ogni allarme scandalistico fatto divampare dalle lobby anti-pesticidi. Perché sarebbe giunta l'ora che ai cittadini venisse trasmessa la realtà dei fatti, anziché farli vivere in una sorta di "Truman show" in cui vien fatto loro credere in un mondo intriso di "pesticidi". "Pesticidi" ovviamente sparsi solo "dagli altri", ça va sans dire.
Perché la tossicologia, in fondo, è più semplice da comprendere di quanto sembri.