Nulla di fatto a Bruxelles su glifosate. Tutto rimandato ai mesi venturi sebbene di tempo per deciderne il destino ne resti ormai poco, perché a giugno scade l’autorizzazione europea all’erbicida più venduto e più linciato al mondo.
Glifosate è infatti il numero Uno della fitoiatria globale in termini di usi, con un’etichetta di possibili impieghi lunga come una stringa cosmica. Lo usano orticoltori, frutticoltori, viticoltori e ogni altro “oltore” che produca cibo, Ogm o convenzionale che sia.
Rende possibile la lotta al riso Crodo, come pure spiana la strada alle pratiche di semina su sodo. Irrinunciabile poi negli appezzamenti declivi, ove le lavorazioni meccaniche sottofila di vigneti e frutteti possono trasformarsi in torrenti melmosi alla prima pioggia. Dura anche pensare alle piazzole di raccolta delle olive, senza questo erbicida. Per lo meno, appare dura conservando costi ragionevoli per gli olivicoltori.

Magari aiuterebbe anche interrogarsi su come tenere monde e sicure le linee ferroviarie senza ricorrere ad altri erbicidi, magari residuali, ovvero i più osteggiati dai disciplinari di lotta integrata. Proprio quei disciplinari, tanto per intenderci, che con le loro crociate contro i suddetti residuali hanno messo il turbo ai prodotti di post-emergenza, glifosate incluso. Prevedibili resistenze a parte.
 
L’elenco potrebbe proseguire a lungo, ma sarebbe lavoro inutile.
Sono infatti l’agronomia e il mercato che premiano o castrano prodotti e strategie di difesa, spesso in modo feroce. E grazie a ciò, a dispetto dei suoi detrattori, in cima al podio sta proprio lui: glifosate.
Già questo dovrebbe fare accendere una lampadina anche nella scatola cranica più buia. Se questo erbicida viene usato così spesso, praticamente su ogni coltura e anche al di fuori di esse, forse vuol dire che serve, che funziona, che senza di esso mancherebbe un pilastro portante delle produzioni agricole, mica un tramezzo di cartongesso.
Si parla del numero Uno, non di un gregario qualunque, per la miseria! Prima di toccarlo ci si dovrebbe quindi pensare mille volte e senza valide alternative sarebbe meglio smorzare ogni velleità forcaiola. E no: l'acido pelargonico, di cui "casualmente" tanto si parla negli ultimi tempi, non pare avere tali requisiti, con buona pace di chi già si frega le mani al pensiero di non avere più fra i piedi l'economico ed efficace glifosate.

Invece, niente da fare: l’ondata mediatica, spesso cialtrona e bugiarda, sta ottenendo i successi che si aspettava. Ciò grazie anche a una politica sempre più prona al consenso popolare e sempre meno adesa alla propria specifica missione amministrativa.
Cosa dire infatti di un ministro come Maurizio Martina, in teoria all’Agricoltura, che invece di prodigarsi per moltiplicare la produttività degli agricoltori italiani boccia orgogliosamente gli Ogm prima e glifosate poi, preferendo andare a braccetto con il bio, l’industria alimentare e i prodotti chic di stampo slowfooddista. Quelli che per intenderci fanno il 5% del Pil agroalimentare italiano.

E come commentare le uscite di Beatrice Lorenzin, in teoria alla Salute, la quale tuona contro glifosate approvandone il blocco a livello europeo, dimenticando forse che ogni singolo formulato che circola in Italia è figlio di un Decreto che porta il timbro e la firma del suo stesso Dicastero.

Più comprensibile invece la posizione di Gian Luca Galletti, all’Ambiente, il quale in un tweet dice “no al fitofarmaco #glifosato. Proteggere noi stessi, la nostra terra è priorità per l’Italia”.
In base a quali profonde analisi ecotossicologiche sia stata prodotto il tweet, non si sa mica bene. Però da sempre agricoltura e ambiente sono in collisione d’interessi: per produrre cibo bisogna infatti inquinare. E ciò è inevitabile, fatevene una ragione. È semmai il “quanto s’inquina” che fa la differenza tra proseguire o fermarsi.
E non risulta da alcuna parte che gli attuali livelli italiani di glifosate abbiano causato le catastrofi millantate, né che abbiano superato la soglia di accettabilità di quel rapporto costi/benefici che caratterizza ogni altro bene usato al Mondo, dal farmaco al ripetitore, dal detergente all’elettrodotto. Il tutto, in barba ai bombardieri mediatici che pubblicano oggi un articolo sul glifosate negli assorbenti intimi e domani un altro sui residui nella birra.
 
Non hanno infatti esitato a promuoverlo né l’Efsa, né il Bfr, ovvero l’Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi, quello che si è occupato proprio di glifosate a livello europeo. Del resto, fra gli altri Paesi che non si sono ancora decisi per il “sì”, pare che Francia e Germania abbiano mosso soprattutto richieste di tipo tecnico anziché assumere apodittiche posizioni ideologiche come fatto dall'Italia. La prima puntando il dito sui coformulanti obsoleti e tossici, la seconda sollecitando la difesa della biodiversità, magari con l’adozione di opportune aree tampone seminate con apposite essenze vegetali. Con questi Paesi c’è quindi una qual forma di dialogo, magari duro. Ma c’è.
 
Tutto a posto quindi? Manco per niente: il Ministro Martina rilancia le proprie posizioni anti-glifosate tirando in ballo il famoso principio di precauzione. Quello che in pratica vuol dir tutto e vuol dir niente.
Qui devo però cedere il passo e la primogenitura a un amico che ha avuto i miei identici pensieri, ma li ha espressi prima di me: Marco Cattaneo, direttore di “Le Scienze” e di “National Geographic”, per lo meno nella sua edizione italiana. Sui social, Cattaneo ha infatti sollecitato Martina a utilizzare il medesimo principio di precauzione su una lunga serie di beni attualmente commercializzati in Italia senza però che dai tre ministeri siano proclamate analoghe crociate.

Come non essere d’accordo con Cattaneo, in effetti? Perché non invocare il principio di precauzione, e quindi il bando, che so, delle carni rosse, in Gruppo Iarc 2A come glifosate, oppure di quelle lavorate (Gruppo 1). Polveri sottili e altre emissioni dei carburanti stallano in Gruppo 1 quanto a cancerogenicità, peggio quindi di glifosate, ma anche qui di principio di precauzione non se ne sente parlare. Forse perché da questi è proprio lo Stato a ricavare un monte di denaro con le accise, in barba alla loro accertata cancerogenicità? E di particolato atmosferico la gente muore, quindi si tratterebbe di un principio di certezza, mica di precauzione.
Perché non parlare di uno Stato che specula pure sulla salute dei cittadini attraverso i monopoli, quelli cioè che fanno estrarre miliardi dalla vendita di fumo e alcol, anch’essi in Gruppo 1. Chissà, sarà forse anche per questo che Beatrice Lorenzin su tali punti assume un profilo molto più basso che con glifosate: nessuna richiesta di bando, infatti, nonostante le migliaia di decessi annui e le spese sanitarie da capogiro per la cura delle patologie causate da questi due vizi.
 
Ecco perché mi pongo lesto al fianco dell’amico Cattaneo e incalzo anch’io i tre ministri: siate coerenti, siate coraggiosi, siate onesti. Come avete posto il veto su Ogm e glifosate, ponetelo anche sui temi di cui sopra. Smettetela cioè di nascondervi ipocritamente dietro al frusto e fumoso principio di precauzione solo quando vi fa comodo a livello elettorale, strizzando perennemente l’occhio ad associazioni e movimenti pseudo-ecologisti di vario genere, ovvero le autentiche lobby che incanalano molte delle decisioni in tema di agricoltura.
E, soprattutto, smettetela di assumere posizioni prepotenti nei confronti di quello sparuto manipolo di lavoratori della terra che nonostante voi e chi vi applaude mette in tavola cibo per tutti. E lo fa tre volte al giorno. Da voi si aspettano aiuto, comprensione, supporto e organizzazione. Invece ricevono sussidi o sgravi sul gasolio, cioè gli anestetici coi quali vengono tenuti addormentati mentre ne viene fatta a pezzi la professionalità. Né tanto meno è onesto illuderli di volerli tutelare tramite ottusi protezionismi di facciata contro le produzioni estere, ovvero quelle necessarie a colmare il gap con produzioni interne perennemente insufficienti anche a causa dei limiti e dei veti tecnologico-operativi di cui sopra.
Soprattutto, cari ministri, da voi gli agricoltori si aspettano razionalità, coerenza e serietà. Aspettative forse ingenue e anacronistiche, viste le troppe volte che la politica italiana, tutta, ha invece tradito e deluso. Di destra, di centro o di sinistra che fosse.
 
Fatelo quindi, cari ministri. Applicate con risolutezza la vostra severità, il vostro tanto amato principio di precauzione. Ma fatelo sempre e con tutto.
Poi Marco ed io ci mettiamo nascosti, “per vedere l’effetto che fa”.