Il cancro batterico dell'actinidia si estende in modo preoccupante in tutti i principali areali di produzione del kiwi in Italia.
Il professor Giorgio Mariano Balestra, Dipartimento di Protezione delle piante dell'Università della Tuscia, fa il punto della situazione al 7° International symposium on kiwifruit che si tiene a Faenza fino al 17 settembre a Faenza (Ra).
La diffusione in Italia
“Il batterio Pseudomonas syringae pv actinidiae (PSA) venne isolato, su piante di Actinidia chinensis cv Hort16A, per la prima volta in Europa e in Italia nel 2008, in provincia di Latina dal ns. gruppo di ricerca", spiega Balestra. “Dal 2008 ad oggi la diffusione di PSA e l’incidenza del cancro batterico possono essere considerati alla stregua di una vera e propria epidemia che sta interessando la maggior parte degli areali italiani dell’actinidia dove la coltivazione e la produzione rappresentano un valore agroalimentare di eccellenza. Volendo fare un quadro su scala nazionale, la situazione più grave è in atto nel Lazio, dove si sta procedendo al censimento di tutte le aziende colpite da questa batteriosi dal 2008 al 2010 e dove finora sono stati registrati complessivamente 670 casi tra le province di Latina, di Roma e di Viterbo (Balestra, 2010, com. pers.)".
Al di fuori del Lazio è stato registrato un caso in Veneto (provincia di Treviso) (Balestra et al., 2009d), 10 segnalazioni in Emilia-Romagna (tra le province di Ravenna e Forlì) ed oltre 60 casi in Piemonte (4 nell’area comprendente le province di Biella e Vercelli e la restante parte in provincia di Cuneo) (Armentano, 2010; Spadaro et al., 2010); non sono stati segnalati casi di infezione in Friuli-Venezia Giulia e Lombardia. Recentemente (maggio 2010) è stato segnalato un caso di PSA in Calabria (provincia di Reggio Calabria) (Balestra., com. pers.).
Il professore ha definito gli strumenti d'intervento per fronteggiare la fitopatia nell'immediato futuro.
“Al momento, sulla base delle iniziative attivate dai differenti Servizi fitosanitari regionali – dice - l’allerta è massima e, fra le varie attività in corso, si stanno elaborando i dati sulle superfici interessate, mentre, per quanto riguarda le produzioni, ad oggi si può stimare una riduzione complessiva delle rese (kiwi a polpa verde + kiwi a polpa gialla) del 20% circa.
Se questo dato può sembrare contenuto nel contesto considerato, è comunque doveroso mantenere elevata l’attenzione per adottare tutti gli strumenti necessari (informazione, prevenzione, monitoraggio, diagnosi, contenimento/controllo) al fine di fronteggiare adeguatamente la fitopatia sull’intero territorio nazionale”.
Ad oggi rimane difficile chiarire la vera origine genetica di PSA in Italia: in quest'ottica sono stati depositati, presso la Collection francaise de bacteries phytopathogenes, 3 ceppi di PSA isolati in Italia nel 2008 dal gruppo di ricerca del Dipartimento di protezione delle piante dell'Università della Tuscia in differenti areali e da differenti cultivar di Actinidia.
“Posso dire – prosegue - che la popolazione di PSA in Italia presenta un'elevata omogeneità genetica, che da una parte permette di distinguerla dai ceppi giapponesi e coreani e dall'altra non consente di apprezzare le differenze tra i ceppi che hanno colpito i diversi areali di coltivazione del kiwi in Italia".
La biologia del batterio
In base agli studi eseguiti negli ultimi anni, Balestra ha tracciato il ciclo biologico del batterio nella pianta d’actinidia.
“Nel periodo autunnale, in presenza di elevata umidità relativa e di temperature miti, grazie alle numerose vie d'ingresso presenti, il PSA può insediarsi agevolmente nella pianta – spiega l’esperto - e sopravvivere al suo interno come ospite. In questa fase, in assenza di un’opportuna protezione fitosanitaria e di una mancata eliminazione delle porzioni vegetali sintomatiche, possono verificarsi sia infezioni primarie, sia reinfezioni secondarie (su piante precedentemente colpite dal patogeno e già capitozzate)”.
Nell’inverno successivo il PSA rimane attivo all'interno della pianta: diventa così importante effettuare un'adeguata potatura invernale ed una disinfezione dell’impianto per ridurre la percentuale d’innesco del ciclo infettivo alla ripresa vegetativa.
Gelate, grandinate e violenti temporali in questa stagione costituiscono fattori di rischio elevato per ulteriori infezioni. In primavera alla ripresa vegetativa il PSA ricomincia l’attività infettiva con essudati sulle superficie esterne dei rami e delle branche. Pertanto, anche in questa fase le piante devono essere protette in modo da non permettere la sua diffusione grazie anche ad aperture naturali o accidentali.
Durante i mesi estivi il PSA riduce l’attività biologica anche se mantiene il suo potere infettivo restando isolato all’interno di nuovi organi vegetativi (giovani tralci e foglie) di piante precedentemente infettate (indipendentemente dalla presenza o meno di sintomi esterni evidenti). In questo periodo è più raro rinvenire nuove essudazioni, ma quando si manifestano sono veicolo di nuove infezioni.
“Anche durante l’estate le grandinate e i violenti temporali costituiscono fattori di rischio in grado di concorrere alla diffusione di PSA da piante infette a piante sane, e quindi a infezioni”.
Controllo e contenimento del cancro batterico in Italia
"Come per tutte le batteriosi, la prevenzione è fondamentale – sottolinea Balestra -. E’ sostanziale una capillare attività di informazione e di divulgazione sulla sintomatologia, a carico dei differenti organi vegetativi, sul ciclo biologico e sugli aspetti epidemiologici. In questo modo è possibile allertare e coinvolgere tutti i produttori di kiwi in Italia”.
Ad oggi, l’impiego preventivo, tempestivo ed equilibrato di formulati a base di sali di rame (Balestra e Varvaro, 198; Balestra e Bovo, 2003; Balestra, 2004; Balestra et al., 2006; Rossetti e Balestra, 2008a, Rossetti et al., 2009; Fratarcangeli et al., 2010; Renzi et al., 2010) risulta di sicuro supporto, ma, di per sé, non è sufficiente per far fronte alla situazione in atto determinata da PSA.
“Bisogna inoltre eseguire opportune attività tecnico-agronomiche: frequenti ispezioni delll’impianto – dice il professore - eliminare le porzioni infette, mantenere un equilibrato apporto nutrizionale ed idrico, eseguire periodicamente analisi del suolo e delle foglie. Alcune attività sperimentali in atto hanno già prodotto risultati positivi e sono state recentemente divulgate; le stesse si avvalgono di un approccio combinato tra apporti nutritivi, impiego di sali di rame e di ulteriori elementi (biostimolanti ed induttori di resistenza) in grado di stimolare le difese endogene delle piante (Quattrucci et al., 2010). Questa strategia nel corso degli anni è stata implementata ed oggi viene suggerita per la prevenzione ed il contenimento anche del cancro batterico dell’actinidia (Fratarcangeli et al., 2009; Quattrucci et al., 2010)”.
Nello specifico, in impianti affetti da cancro batterico sottoposti a questo protocollo, si osserva una significativa riduzione della superficie di aree vegetanti affette da sintomi, riduzione dei casi di cancri/essudati, miglior sviluppo vegetativo complessivo ed incremento delle produzioni di kiwi dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo (Quattrucci et al., 2010)".
Conclusioni
"Gli studi recentemente avviati in Italia stanno iniziando a dare delle risposte importanti – conclude Balestra - in merito al comportamento di questo batterio nelle piante, ad una sua rapida identificazione (Gallelli e Loreti, 2010) e all’evoluzione della patologia in campo. In questo modo è possibile definire al meglio strategie di prevenzione, controllo e contenimento”.
“La mancanza di studi precedenti in Italia sul Pseudomonas syringae pv. Actinidiae hanno impedito di essere tempestivi nei riguardi della patologia. Le attività di ricerca in corso stanno però facendo ridurre gradualmente il tempo perso. Nel prossimo futuro, con la partecipazione di tutte le figure del comparto, gli sforzi si moltiplicheranno; il nemico comune deve essere messo in condizioni di non nuocere ulteriormente e, oltre ad un fisiologico periodo di convivenza, si ritiene che, nel medio termine, la ricerca possa dare le risposte necessarie per superare questo delicato momento per la coltivazione dell’actinidia in Italia".
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Fonte: Università della Tuscia - Dipartimento di Protezione delle piante (Diprop)
Autore: Lorenzo Cricca