Nel 2020 nel mondo si sono consumati circa 17 milioni di tonnellate di pasta alimentare, un milione in più rispetto al precedente record del 2019 e il doppio rispetto a dieci anni fa, con l'Italia a fare da capofila di questo alimento per produzione (3,3 milioni di tonnellate), consumi (23,1 chilogrammi procapite) ed export (un piatto di pasta su cinque nel mondo è italiano). Lo rendono noto Unione Italiana Food e International Pasta Organisation, in occasione della 23esima Giornata Mondiale della Pasta che si tiene oggi, 25 ottobre 2021, in tutto il mondo.

La giornata mondiale quest'anno mette la pasta a confronto con i grandi temi della ripresa e dei contraccolpi della pandemia su economia, occupazione e sulla tenuta emotiva di larga parte della società. Secondo Oxfam, nel 2021 ben 20 milioni di persone hanno raggiunto livelli estremi d'insicurezza alimentare, portando il totale a 155 milioni di persone in 55 paesi. Mentre in Italia, sono 27 milioni gli italiani che ancora nel 2021 sono stati costretti a fare delle rinunce vivendo situazioni di disagio quotidiano (dati Rapporto Coop 2021).


La gara di solidarietà

Nasce così una gara di solidarietà lanciata da Unione Italiana Food per mostrare il "buono" della pasta, comfort food per eccellenza amato a tutte le latitudini anche nelle sue preparazioni più semplici. Con l'iniziativa #Haveagoodpasta, i pastai italiani si sono rivolti ai pasta lover per donare un piatto di pasta ai meno fortunati. Per partecipare, basterà condividere fino a tutta la giornata di oggi sui propri canali social lo scatto di un piatto di pasta con l'hashtag #Haveagoodpasta. Ogni scatto condiviso verrà caricato sul sito dedicato "al dente" e "caricherà" un contatore online fino al raggiungimento di 300mila piatti di pasta, che i pastai italiani doneranno alle mense Caritas di quattro grandi città italiane: Milano, Roma, Napoli e Palermo, a unire idealmente la penisola in una spaghettata solidale.


La riflessione sul grano duro

La Giornata Mondiale della Pasta 2021 è condita anche da numerosi eventi di taglio enogastronomico, ma è anche un'occasione per una riflessione sulla materia prima senza la quale non è possibile realizzare la pasta: il grano duro. Il vero problema oggi - avvertito da tutti gli operatori della filiera - è la scarsità di questa materia prima, con le scorte mondiali ai minimi e i prezzi che stanno andando alle stelle.

Il bello è che a molti osservatori sfugge il dettaglio, perché ancora pochi giorni fa l'ultimo rapporto dell'International Grains Council ha comunicato come gli indici dei raccolti 2021-2022 di grano siano attesi crescere del 5% sulla campagna commerciale precedente. Ma il grano duro rappresenta solo il 2% di tutto il mercato globale del grano, che risente del dimezzamento della produzione di Canada e Usa legata alla siccità dell'estate 2021, elemento che stressa i prezzi di questo cereale da luglio in avanti.
Una congiuntura che anima dibattiti sull'opportunità di seminare di più in Italia.

E secondo l'indagine condotta da L'Informatore Agrario sulle intenzioni di semina, il grano duro in Italia va incontro a un autunno di probabili maggiori semine rispetto allo scorso anno, con il 50% degli intervistati che conferma le superfici del 2020 e un 34% degli imprenditori che vorrebbe incrementare le superfici dello scorso anno, mentre solo l'11% appare propenso a ridurre le superfici. E in questi giorni gli aumenti delle materie prime - carburanti, sementi e fertilizzanti in testa - avranno sicuramente un peso sulle decisioni reali dei cerealicoltori italiani. Mentre dal 2023 a incidere potrebbe essere la Pac, con i suoi tagli, destinati a colpire i contributi a ettaro della Domanda unica.

A incidere sull'offerta globale di grano duro ci sono anche i dazi che la Federazione Russa ha imposto alle esportazioni di grano, perché se ne è prodotto poco e il Governo intende mantenere l'autonomia alimentare e una tendenza alla riduzione delle scorte imposta dall'aumento della domanda mondiale. Ma a pesare è soprattutto il più scarso raccolto degli ultimi decenni in Nord America: poco più di 4,5 tonnellate, pari al 54% della media degli ultimi cinque anni (otto milioni di tonnellate); un disastro determinato da siccità e incendi. Un dato che, complice i mutamenti climatici in atto, potrebbe nel tempo diventare strutturale.

Eppure la domanda di pasta alimentare negli ultimi dieci anni è raddoppiata, e con essa quella di grano duro di qualità pastificatile, grazie anche alla tendenza ad adottare sempre più una dieta mediterranea: una moda persistente e inarrestabile, che ha portato la Turchia a diventare in breve tempo il secondo player mondiale della pasta secca.

Sono queste motivazioni di rango strutturale che potrebbero spingere nel lungo periodo a seminare molto più grano duro, magari con un occhio alle rotazioni colturali su leguminose e ai cambiamenti climatici: le prime rendono i terreni più ricchi di umidità e di azoto con la pratica del sovescio e il grano duro meno vulnerabile in caso di annata siccitosa e meno bisognoso di concimazione, i secondi che rendono le colture irrigue sempre meno convenienti, soprattutto lì dove l'acqua ha costi molto elevati.