Paola Dama è napoletana di nascita, ma americana come ricercatrice. Dopo la laurea con lode in Scienze biologiche all’Università Federico II di Napoli ha conseguito infatti un dottorato di ricerca in oncologia molecolare e farmacologia presso il Comprehensive Cancer Center della Ohio State University. Tutt’oggi lavora come ricercatrice negli Stati Uniti, ma segue da vicino gli eventi legati alla cosiddetta Terra dei fuochi.

A tal fine ha costituito una Task Force tecnico-scientifica volontaria per affrontare un tema sul quale si sono intrecciati fatti criminosi e aspetti ambientali e sanitari, non sempre restando però adesi alla realtà dei numeri.
 
AgroNotizie ha intervistato Paola Dama al fine di meglio comprendere cosa sia realmente successo in Campania e dove si ponga il limite tra realtà dei fatti e allarmismi mediatici.
 
Fiamme e fumo da rifiuti talvolta tossici o comunque nocivi. Da qui il nome di Terra dei fuochi. È tutto vero ciò che si dice, o vi sono anche esagerazioni mediatiche e speculazioni sul tema?
In riferimento alla questione de ‘La Terra dei fuochi’ circolano diversi luoghi comuni. Non solo tra gli abitanti della nostra Regione (la Campania, nda), ma anche e soprattutto nel resto d’Italia.
Proprio per questo due anni fa pensammo di realizzare un sondaggio demoscopico cui risposero 600 persone. Il risultato non fu altro che una conferma di ciò che era allora già percettibile e cioè di quanto i mezzi d’informazione ‘formassero’ le opinioni. Purtroppo, si sa bene che se non si fa parte di coloro che professano tali luoghi comuni, si viene fatti rientrare automaticamente nel novero dei negazionisti anziché in quello dei pensatori scientifici, come invece sarebbe corretto
”.
 
In cima alla classifica, qual è la percezione meno corretta sulla Terra dei fuochi?
Uno dei luoghi comuni più diffusi è l’equazione ‘rifiuti = inquinamento ambientale = inquinamento catena alimentare = danni alla salute’.
Secondo i supporter di tale equazione semplicistica sarebbe materialmente impossibile che le sostanze tossiche accumulate per decenni nel terreno, nell’acqua e negli animali d’allevamento non abbiano contaminato anche il ciclo alimentare. E tale contaminazione disastrosa, secondo loro, non sarebbe solo a carico dei territori di cui conosciamo la tipizzazione delle matrici ambientali, ovvero il tipo di inquinanti, la loro concentrazione e la loro diffusione. Questi territori, al contrario, si pensa invece non possano essere considerati quali aree isolate soggette a una particolare criticità locale, bensì come un fenomeno più vasto ancora da indagare
”.

Estendere a tutta una regione dei casi puntiformi a carattere locale pare effettivamente molto azzardato. Ma cosa si può rispondere in tal sensi?
Ovvio che provare a dibattere una tale convinzione distorta ti fa accreditare come qualcuno che nega ogni evidenza. Secondo i propugnatori di tali scenari allargati, per così dire, sarebbe solo questione di buon senso comune. Peccato che questo sia alquanto relativo e non misurabile, né quindi dimostrabile.
Ben diversa una tesi sostenuta invece dalle più opportune evidenze scientifiche. E fatto ciò appare evidente che la realtà percepita collide duramente contro quelle dei numeri e dei fatti
”.
 
Quando si parla di catena alimentare si tocca anche l’agricoltura…
Partiamo dalla catena alimentare, nello specifico frutta e verdura, che secondo il suddetto luogo comune non può essere immune dall'inquinamento causato dallo smaltimento illegale di rifiuti. Eppure, in Campania, come in tutta Italia, vige un sistema di controlli sugli alimenti attuato da enti che hanno l’obbligo di lanciare allerte nel caso si riscontrino situazioni potenzialmente pericolose o comunque difformi rispetto alla legge. E questi controlli hanno fornito esiti tranquillizzanti nella quasi totalità dei casi”.
 
Quindi il luogo comune finisce lì?
Magari. Al contrario, citando gli esiti positivi delle analisi degli alimenti si fa scattare subito il secondo luogo comune e cioè che i dati sono falsi, gli scienziati lavorano per il governo e che le istituzioni sono corrotte, per cui non possiamo fidarci di quello che dicono…”.  
 
Paola Dama, nei laboratori di ricerca di Chicago
 
Cioè il normale meccanismo di difesa di chi creda a una bufala e poi non riesca più ad ammettere che si è sbagliato?
Non solo. La situazione è più complessa e articolata di quanto si possa pensare. Non sempre i sostenitori del disastro a tutti i costi sono ingenui cittadini: talvolta dietro all’allarmismo si nascondono interessi specifici.
Ma tornando all’agricoltura si deve tener presente che una parte rilevante delle produzioni ortofrutticole campane viene acquistata dalle grandi distribuzioni organizzate, le quali effettuano controlli sistematici particolarmente severi. Quindi, di fatto, dovrebbero essere complici perfino loro di tale complotto, tutte. Uno scenario decisamente impossibile a verificarsi.
In aggiunta poi a questo sistema di sorveglianza, in Campania sono state fatte anche campagne di analisi straordinarie che non hanno a oggi riscontrato alcuna situazione di allarme sui nostri prodotti ortofrutticoli e zootecnici. Ricordiamo per esempio le analisi straordinarie fatte dalla Coop a seguito dell’emergenza rifiuti in Campania, per cui la Direzione Qualità Ortofrutta organizzò una serie di campionamenti di matrici vegetali, prelevate ad hoc in vicinanza di luoghi potenzialmente contaminati. Ci riferiamo ai campionamenti avvenuti il giorno 18 gennaio 2008. O ancora quelli effettuati il giorno 5 novembre 2013 a seguito dell’emergenza Terra dei fuochi presso appezzamenti del fornitore Coop nazionale ‘Coop Sole’ con sede a Parete, in provincia di Caserta. Tutto risultò conforme ai requisiti legali
”.
 
Ma anche in questo caso, temo, il fronte dell’allarmismo non si sarà dato per vinto.
Beh, qualcuno potrebbe ancora replicare di non fidarsi delle nostre istituzioni. Vale quindi la pena ricordare una delle più grandi organizzazioni internazionali di certificazione, ovvero la Global Gap. In un documento, inviato in Italia a dicembre del 2013, l’organizzazione chiedeva nuovi campionamenti e analisi straordinarie ai produttori agricoli già certificati presso l’associazione, la quale opera in oltre ottanta Paesi del mondo ed è composta da più di cento organismi di certificazione indipendenti e accreditati.
La campagna di campionamenti straordinari partì sotto la spinta del dibattito mediatico e coinvolse tutte le aziende certificate nell’area della Terra dei fuochi. Per essere sicuri di non incappare in certi brutti vizi italiani, che questi sì possono fare capolino ogni tanto, l’organizzazione affidò appunto l’operazione a campionatori indipendenti che provenivano dal Nord Italia al fine di garantire la piena indipendenza e di minimizzare i conflitti di interessi ed eventuali pressioni da parte di produttori e poteri locali
”.
 
E come andò a finire?
I risultati dell’indagine hanno dimostrato che tutti i prodotti certificati sono entro i limiti di contaminanti massimi regolamentati dall’Unione europea. Inoltre, questi valori sono previsti in condizioni di produzione normali. Una conclusione che non lasciava quindi spazio a dubbi, ma che si inseriva in un contesto di allarme e di guerra di perizie, con sequestri di terreni e successivi dissequestri. Una sarabanda generale che ha anche visto la fuga di alcuni grandi marchi agroalimentari, come pure un crescendo della confusione su inquinamento e alimentazione, divenuta in breve terrore sparso su tutto. Un fenomeno che stava affossando l’economia e l’agricoltura”.
 
Quali sono state le conseguenze per la popolazione locale?
In diverse realtà produttive analizzate in Campania, in provincia di Caserta e in provincia di Napoli, sono stati ricercate diossine e metalli pesanti come mercurio, piombo e cadmio. Sebbene però non vi fosse alcuna certezza scientifica circa i veleni nei prodotti delle province di Napoli e Caserta, si è assistito a un continuo spopolamento e abbandono dei campi.
Ha quindi vinto spesso il secondo luogo comune, ovvero quello che prevede che siano stati in tanti a mentire sui dati. Dobbiamo perciò immaginare che siano tutti d’accordo in un inganno globale? Secondo tale approccio complottista, avrebbero infatti mentito anche gli autori degli studi che hanno evidenziato come alcune specie di piante coltivate in terreni contaminati, irrigate con acque contenenti inquinanti, possono anche non presentare accumuli significativi di metalli pesanti
”.
 
Quindi l’ortofrutta analizzata è da considerarsi sana per il consumatore?
I prodotti agricoli si sono rivelati sani persino quando cresciuti nei terreni dove è stata provata la presenza di materiali estranei intenzionalmente quanto abusivamente aggiunti ai terreni. Approfondimenti specifici di indagine hanno infatti riguardato le aree agricole di diretta pertinenza delle grandi discariche della piana campana, le cosiddette ‘aree vaste’ identificate dal Piano regionale di bonifica dei siti inquinati.
A conferma della salubrità della locale ortofrutta, i risultati di un’analisi di qualità delle produzioni agricole raccolte nell'area vasta della discarica Masseria del Pozzo, meglio nota come discarica ‘ex-Resit’, nel territorio del comune di Giugliano, condotta dall'Istituto superiore di sanità nell’ambito di una collaborazione con il Commissariato di governo per la bonifica delle discariche dell’agro giuglianese.
In tale opera di monitoraggio sono state analizzate le colture agricole in aree prossime alla discarica, irrigate con acque di falda caratterizzate da concentrazioni superiori ai limiti di legge di Cov, acronimo di composti organici volatili. Sono state anche analizzate colture praticate su suoli prossimi alla discarica, caratterizzati da elevate concentrazioni di cromo e zinco. Orbene, le analisi dell'Iss hanno evidenziato come tutti i campioni di ortofrutta esaminati non risultassero contaminati da Cov
”.
 
Ma non ci sono solo i Cov…
I campioni di prodotti ortofrutticoli sono risultati conformi alle norme di Legge anche per quanto concerne gli elementi metallici potenzialmente tossici, in acronimo Ept, normati dalla legislazione comunitaria a nazionale vigente, come cadmio e piombo. Le concentrazioni degli Ept non normati erano comunque entro i valori di riferimento riportati dalla letteratura internazionale.
Nemmeno il sistema di allerta rapido gestito dall'Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha evidenziato in questi anni alcun problema specifico a carico di produzioni ortofrutticole campane, riferibile alla crisi dei rifiuti. Almeno per come emerge dal Rapporto Inea del novembre 2014
”.
 
L’ortofrutta della Terra dei fuochi suscita però ancora molti sospetti.
Ritornando infatti al famoso luogo comune, per quello che riguarda la eventuale contaminazione del terreno bisogna ricordare che i vegetali hanno sistemi di assorbimento radicale sofisticatissimi, tanto che riescono ad assorbire i sali disciolti nell’acqua intrappolata nel terreno solo in misura sufficiente alle loro strette necessità nutrizionali. Proprio per questa loro altissima selettività, hanno soglie di tossicità individuali assai più basse degli animali, soprattutto degli animali superiori. Quindi persino in presenza di sostanze essenziali alla loro vita se queste vengono assorbite in eccesso si ottengono effetti fitotossici.
Però precisiamo: non è che i vegetali siano immuni dall’inquinamento. Da quello dell’aria non sono infatti in grado di difendersi in alcun modo e sulla loro superficie si deposita tutto ciò che altrimenti ricadrebbe sul terreno, come per tutte le superfici. Ecco perché comunque è indispensabile procedere sempre al lavaggio degli ortaggi e della frutta. Questa è peraltro buona norma anche come misura igienica di tipo microbiologico, perché gran parte di quello che è nell’aria in forma di particolato resta sulla superficie e può essere rimosso meccanicamente con il lavaggio
”.
 
Ma tutto ciò è stato comunicato adeguatamente?
Solo in parte. Per esempio, su Expocampania.it il 19 ottobre del 2015, venne riportato in dettaglio la presentazione tenuta dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, a Expo Milano. Questa riguardava i risultati dello studio realizzato dall’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno su acqua, aria e suoli della Terra dei fuochi e della Campania in generale.
Il territorio regionale era stato diviso in celle su cui si sono concentrate approfondite analisi e accurati esami da parte di ricercatori ed esperti che avevano lavorato ininterrottamente negli ultimi quattro mesi per fornire dati validi. Come ha ben spiegato il commissario dell’Istituto zooprofilattico, Antonio Limone, sono stati raccolti 4.400 campioni sui suoli, analizzando 52 elementi. La Campania è infatti una regione vulcanica e bisognava capire quali elementi fossero frutto dell’attività vulcanica e quali invece di un eventuale inquinamento antropico
”.
 
Le analisi erano solo sui terreni?
No. Lo studio oltre ai suoli ha riguardato anche le acque. In tal senso sono stati analizzati 659 campioni di acque utilizzate per l’irrigazione. Non quella dei rubinetti, come ha chiarito Antonio Limone, dal momento che questa viene costantemente monitorata e non presenta alcuna criticità. L’indagine ha coinvolto anche animali e vegetali con 2.942 campioni tra prodotti ortofrutticoli ed erba spontanea”.
 
Quindi concludendo?
In conclusione, i risultati dei numerosi controlli effettuati da soggetti differenti, pubblici e privati, sui prodotti ortofrutticoli della piana campana, hanno sino a oggi confermato la conformità alle norme vigenti di tali produzioni, consentendo di escludere l'esistenza di specifici rischi per la salute pubblica legati al loro consumo.
Ora tutto questo è certamente troppo complesso e dettagliato per controbilanciare i facili ed emotivi luoghi comuni, né può smontare facilmente le qualunquistiche equazioni che tratteggiano legami dati per certi tra rifiuti, ortofrutta e danni alla salute. Eppure quando si va al supermercato e si compra un aglio, magari cinese, viene da chiedersi se anche in Cina abbiano misurato così scrupolosamente i livelli di radioattività sugli alimenti come hanno fatto in Campania..
.”.
 
Vero, purtroppo. Talvolta il miglior modo per non trovare nulla è proprio non cercarlo. Fortunatamente, la fitta rete di controlli europei e nazionali intercettano la maggior parte dei lotti non conformi. Resta però il fatto che la pessima nomea creata intorno a molti prodotti ortofrutticoli campani appare alquanto immotivata. Un inutile danno d’immagine che non solo ha penalizzato i produttori ortofrutticoli locali, ma anche la percezione da parte degli stranieri, turisti o businessmen che siano. In una regione ove questi soggetti dovrebbero essere motivati a recarsi, appare quindi criminale non solo l’abbandono di rifiuti, ma anche la disinformazione che da tale fenomeno è derivata.

Oltre all'ortofrutta, però, si potrebbe aprire un ampio dibattito anche sulla popolazione locale, disorientata da annunci di diete miracolose anti-inquinanti, o terapie chelanti anti-tumorali. Ma di questo, magari, si parlerà nel dettaglio un'altra volta.