Ideato nel 2011, oggi "Viva" compie quattro anni ed Expo è stata la vetrina ideale per fare un primo bilancio. La location non poteva non essere il Padiglione del vino dove, sulla terrazza che si affaccia sul cardo si è tenuta una degustazione di alcune bottiglie di produttori che hanno aderito al progetto.
“Il bilancio di questo primo periodo è estremamente positivo”, spiega Francesco La Camera, direttore generale per lo Sviluppo sostenibile.
“E' certamente una iniziativa impegnativa per le aziende, sia dal punto di vista economico che del management. Ma devo dire che c'è un numero crescente di imprese che hanno chiesto di entrare nel programma. Le prospettive sono molto buone”.
Ma come funziona "Viva"? Quando una cantina aderisce deve misurare l'impatto che la sua attività ha su ambiente e territorio. Si misurano parametri come l'utilizzo di prodotti chimici e di acqua, le emissioni in atmosfera di inquinanti e l'impatto sul territorio. Le misurazioni comprendono tutta la filiera: dalla coltivazione della vite fino al trasporto delle bottiglie, passando dalla fermentazione all'imbottigliamento.
Grazie a questo sistema le aziende aderenti hanno potuto misurare l'impatto della loro produzione in termini di sostenibilità ed intraprendere in tal modo, su base volontaria, un percorso di miglioramento.
Le analisi vengono certificate da un ente terzo e indipendente che mette il 'marchio' sul vino. Quando il consumatore va al supermercato o in enoteca trova sul retro della bottiglia quattro simboli: Territorio, Aria, Vigneto e Acqua. Ognuno rappresenta un parametro della sostenibilità del vino.
Aria esprime una valutazione sul totale delle emissioni ad effetto serra legate al ciclo di vita di una bottiglia. Acqua invece misura il totale di acqua dolce usata ed inquinata nella produzione. Il simbolo Vino valuta l'impatto sull'ambiente di agrofarmaci, fertilizzanti e altri prodotti chimici. Mentre Territorio analizza le ricadute ambientali, economiche e sociali sulla biodiversità, il paesaggio, i lavoratori, la comunità locale e i consumatori.
Ma c'è di più. Sull'etichetta è stampato anche un QRcode che, fotografato con uno smartphone, rimanda ad una pagina internet in cui sono contenute tutte le informazioni sull'azienda che ha prodotto e imbottigliato il vino. Non solo una descrizione approfondita del prodotto, ma anche valori numerici e grafici. E tra un vino ad impatto zero e uno che con una impronta ambientale marcata non è difficile immaginare cosa sceglierà il consumatore.
“Il mercato globale richiede ormai prodotti che abbiano una componente ambientale pronunciata e riconoscibile”, spiega La Camera. “Per le aziende diventerà inevitabile aderire a delle iniziative che consentono di garantire ai loro prodotti un marchio di sostenibilità che li apra ai mercati esteri”.
E l'Italia ha tutto da guadagnare da questo tipo di certificazioni visto che la qualità dei nostri prodotti è indiscussa e la biodiversità dei vitigni nostrani non ha eguali in tutto il mondo. Si tratta di un volano per l'export che è stato adottato in origine da nove produttori italiani (Mastroberardino, Marchesi Antinori, Venica&Venica, Michele Chiarlo, Masi, Planeta, Tasca D'Almerita, Castello Monte Vibiano Vecchio, F.lli Gancia & Co.) ma che ha già visto aderire altri dieci nomi e sta riscuotendo numerose adesioni.