Il settore comprende 5.042 imprese attive che occupano più di 93.400 addetti e generano un fatturato di quasi 35 miliardi di euro, pari al 23% del valore dell’alimentare italiano, ottenuto attraverso la lavorazione e trasformazione di una quota pari al 37% della materia prima agricola italiana, per un valore di 19 miliardi di euro. Il mondo della cooperazione si pone, inoltre, come vero e proprio baluardo del made in Italy, con un utilizzo alla produzione del 99% di materie prime nazionali di cui il 73% di provenienza locale e regionale. Un elemento di certa importanza se si considera che le cooperative contribuiscono per il 13% all’export agroalimentare italiano, pari a 4 miliardi di euro.
In termini economici si è registrato per la cooperazione un +5,8% di crescita del fatturato rispetto all’anno precedente, contro un più contenuto +1,5% dell’alimentare nel suo complesso.
Carne, ortofrutta, latte e vino si confermano i principali settori cooperativi grazie al forte legame con la base produttiva agricola. In questi settori le imprese cooperative sono divenute casi di eccellenza sul territorio e veri e propri big player a livello nazionale e internazionale. Le cooperative sono leader di settore nel vino, nell’ortofrutta fresca e trasformata e nelle carni avicole; rappresentano il segmento più ampio della produzione di formaggi a denominazione di origine e contemporaneamente sono i principali attori nazionali nel comparto del latte fresco. Si tratta di cooperative che utilizzando le materie prime conferite dai soci agricoli, realizzano il 38% del loro fatturato dai prodotti a marchio proprio e il 15% da private label.
“Un pezzo importante della cooperazione fa oggi parte dell’alimentare avanzato – ha commentato Ersilia Di Tullio di Nomisma, responsabile scientifico dell’Osservatorio – ma allo stesso tempo tiene saldi i propri fini solidaristici, che la differenziano dalle imprese di capitali. Il rapporto con il socio è sempre privilegiato come indica un grado di mutualità pari in media al 79%. Ci sono però ulteriori spazi di crescita: oggi grazie ai suoi approvvigionamenti di materia prima la cooperazione italiana valorizza il 39% della produzione agricola nazionale. In altri paesi europei, a forte matrice cooperativa, questa quota è superiore, assestandosi al 55% in Francia ed al 68% in Olanda”.
Soddisfatto del quadro emerso il presidente dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari Giorgio Mercuri che - a proposito della buona tenuta dei principali indicatori macroeconomici delle cooperative - ha evidenziato come sia proprio questo “il grande merito che ha avuto la cooperazione negli ultimi anni, ovvero quello di indirizzare la produzione delle aziende agricole in un’ottica tutta orientata al mercato, nazionale ed estero, valorizzando al massimo i prodotti conferiti dai soci”.
Giorgio Mercuri, presidente dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari
© Alessandro Vespa - AgroNotizie
Il mondo della cooperazione è dunque la realizzazione dell’utopia? Non proprio.
Rimane una forte disomogeneità del tessuto imprenditoriale cooperativo sul territorio nazionale: il 45% delle cooperative ha sede al Nord Italia ed è capace di generare l’82% del fatturato totale contro il 7% e l’11% generato rispettivamente dalle cooperative del Centro e del Sud Italia; le dimensioni medie d’impresa sono pari a 13 milioni di euro per le cooperative del Nord Italia e di appena 2 milioni per quelle del Sud, anche se qualche segnale di crescita dimensionale va registrato anche in alcune regioni del Mezzogiorno.
Il problema principale è tipicamente italiano e riguarda la polverizzazione della base produttiva (con la conseguente mancanza della "massa critica" indispensabile per aggredire efficacemente i mercati) e una conclamata difficoltà storica all’unione delle forze.
“Il tema della dimensione aziendale – ha detto Martina – dell’aggregazione dell’offerta e dell’organizzazione è fondamentale e in questo contesto la cooperazione gioca un ruolo chiave. I dati ci dicono che dove c'è cooperazione, c'è maggiore valore aggiunto per i produttori agricoli associati. Dove manca, il territorio è più povero e la filiera molto meno organizzata”.
Il ministro ha inoltre ricordato come nel primo anno di governo si sia iniziato a costruire strumenti ritenuti adeguati a far compiere un salto di qualità al settore, portando ad esempio i 130 milioni di euro investiti già a novembre sui contratti di filiera e il piano di investimenti da 2 miliardi nel triennio 2015-2017 in cui ci sono oltre 600 milioni dedicati ai contratti di rete e filiera.
“Dobbiamo lavorare ancora molto, anche sul fronte estero – ha proseguito Martina - Nel 2014, anno non felicissimo dal punto di vista climatico e aggravato dall'embargo russo, abbiamo chiuso con 34,3 miliardi di euro di export agroalimentare. Abbiamo ancora margini di crescita importanti sui quali stiamo lavorando con il M+ministero dello Sviluppo economico e con le imprese. Vogliamo anche potenziare il ruolo del nostro Istituto di sviluppo agroalimentare, l’Isa, per stare al fianco di soggetti forti che vogliano crescere nelle dimensioni e negli orizzonti”.
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Durante l’incontro sono stati affrontati i principali temi relativi al mercato dei prodotti agroalimentari nazionali, all’organizzazione della filiera e alla distribuzione del valore all’interno della stessa.
Il ministro ha presentato i primi quattro punti di lavoro ampiamente condivisi da tutti i i presenti:
- Operazione straordinaria di promozione dei prodotti di qualità Dop e Igp nazionali con azioni dedicate nei negozi della distribuzione organizzata, abbinata a una campagna di educazione alimentare e di promozione verso i consumatori.
- Investimento nella Rete del lavoro agricolo di qualità, la cui cabina di regia si è appena insediata presso l’Inps, come strumento di contrasto al lavoro nero e per la certificazione etica dei produttori fornitori della Gdo in ottica di semplificazione.
- Sostegno all'export con piattaforme logistico distributive all'estero per accrescere il mercato dei prodotti italiani a livello internazionale.
- Maggiore coordinamento su alcune filiere, a partire da quella lattiero casearia dove anche un intervento della distribuzione può contribuire nella gestione del delicato passaggio di fine del regime delle quote.