Il sisma, un anno fa: 20 maggio 2012. Una scossa del 5.9 della scala Richter. Nei giorni successivi, la scossa del
29 maggio (5.8) e poi ancora quella del 3 giugno (5.1).
Emilia Romagna, parte della Lombardia e del Veneto sono in ginocchio.
Il bilancio è drammatico, 27 morti, 45mila sfollati, 54 Comuni colpiti, oltre 500 scuole lesionate, 15mila famiglie senza più una casa. In termini economici si parla di 13,3 miliardi di danni stimati.

Senza contare la disperazione di chi in un lampo ha perso tutto. E la paura che ha accompagnato i giorni e le notti della popolazione di questo cuore operoso del Nord Italia, tutto agroalimentare, motori, biomedicale, è stato uno dei grandi incubi.
C’è chi ha perso tutto, chi ha vissuto l’incubo delle tende nella lunga e caldissima estate all’insegna della siccità. E la comparsa degli sciacalli, che hanno approfittato dell’emergenza per arraffare negli scheletri delle case vuote. Nemmeno le batterie dei trattori sono state risparmiate.

L’agricoltura, già. Una delle vittime del terremoto. Caseifici crollati, stalle sventrate, scalere venute giù come nel domino. Accanto alla torre crollata di Finale Emilia, nel Modenese, uno dei simboli tristi del sisma emiliano, lombardo e veneto è rappresentato dalle migliaia di forme di Grana padano e Parmigiano reggiano a terra.
Quasi nessuna delle latterie, peraltro, era assicurata contro il terremoto. “È stato un caso, il premio contro il sisma costava poco più di un migliaio di euro e l’ho inserito nell’assicurazione – affermava poco meno di un anno fa Isalberto Badalotti, il presidente della Latteria Santa Maria Formigada, una delle realtà cooperative più importanti del Mantovano (area Grana padano) -. L’assicurazione ha pagato, il formaggio siamo riusciti a salvarlo e a riprendere l‘attività”.

I danni del terremoto (Foto Confcooperative)

In un dramma inedito come quello vissuto in un lembo di terra che si pensava a basso rischio sismico, è stata forte la gara della solidarietà. In una tragedia che ha spazzato case, raso al suolo stalle, porcilaie, ricoveri di macchine agricole, persino gli impianti dei consorzi di bonifica, si è attivato un meccanismo di aiuto rapido, dove chi ha potuto ha condiviso la casa, ha ospitato la mandria del vicino, i trattori del contoterzista.
Per l’emergenza sono stati stanziati 10 miliardi. Qualcuno è riuscito a tornare a vivere nelle proprie abitazioni. L’impegno è stato costante, senza requie. Chi ha potuto ha anticipato direttamente il denaro necessario.
Perché la sensazione è che – almeno a sentire la parte mantovana delle vittime del sisma – di fondi veri ne siano arrivati concretamente nelle tasche dei cittadini davvero pochi.

“La Camera di commercio di Mantova – ci dicono – ha avviato le pratiche e iniziato i primi saldi. Dalla Regione, pare, ancora nulla, in una catena di burocrazia che frena, rallenta, mortifica”.
In uno sbilanciamento dei fondi assegnati per la ricostruzione che vede l’Emilia – senz’altro la regione più colpita – fare la parte del leone. Tanto che l’assessore regionale Fava, recentemente in un’intervista, ha parlato di “discriminazione evidente. Ma di questo non credo sia possibile incolpare il governo regionale lombardo. Forse il governo regionale precedente ha avuto minor peso”.

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