Roba da far impallidire gli antichi concetti delle geometrie variabili e delle convergenze parallele tanto care alla prima Repubblica.
L'astro nascente del professor Monti con la sua Agenda sembra incrinato da sondaggi non sempre incoraggianti. A destra ricompare l'inossidabile Berlusconi, che alla fine di una lunga trattativa riesce a rinnovare il patto elettorale con la Lega Nord.
A sinistra avanza la corazzata di Bersani che, tra primarie e volti nuovi (scongiuri a parte), sente già in tasca la vittoria.
Sullo sfondo l'incognita dell'anarco-digitale Grillo, che cavalca la rete, e il debutto del magistrato Ingroia, che fa il pendolare tra il Guatemala e Roma per spiegare la sua "ricetta rivoluzionaria".
Se dagli attori si passa ai copioni, cioè ai programmi elettorali, il dibattito non è che aiuti molto a capire.
Si vola alto, ma talmente alto da far svanire all'orizzonte i problemi concreti che la gente comune, i cittadini-elettori vivono ogni giorno sulla propria pelle. Con una sola eccezione: la famigerata Imu, i cui bollettini sono ancora freschi di stampa per il pagamento del saldo di dicembre.
C'è chi già la vuole in parte abolire, chi revisionarla per renderla più equa, chi si limita a proporre di destinare l’intero gettito ai Comuni.
La priorità è concentrata sulla prima casa. Ed è giusto.
Ma nessuno si ricorda dell’Imu agricola?
Un salasso che i nostri agricoltori conoscono bene perché, oltre che sulla casa di proprietà, l'odioso balzello è stato esteso anche agli edifici rurali, che non sono proprio ville né eleganti casali, ma beni strumentali per svolgere l’attività agricola.
Tanto da spingere in piazza l'intera rappresentanza delle organizzazioni agricole (da Coldiretti a Confagricoltura, Cia e Copagri) alla vigilia delle festività natalizie, per invocare il rispetto dei patti: rimodulare al ribasso le aliquote, dopo aver verificato in campo l'extragettito rispetto alle stime.
Di questa beffa fiscale, nei frammenti di dibattito concreto, nessuno ne parla.
L’agricoltura è buona quando offre la passerella a politici e governanti in occasione dei numerosi eventi che ogni anno affollano il calendario delle varie associazioni e organizzazioni agricole. Anzi, l’indice del successo di un convegno è scandito dal numero di ministri e parlamentari, che fanno il loro discorso o portano il loro saluto.
Quando invece si presentano i programmi elettorali, la parola agricoltura scompare da tutte le agende. Se ne riparlerà al primo convegno inutile o in qualche sagra paesana.
Per questo, sentiamo l’obbligo di rivolgere un appello a tutti i politici, vecchi e nuovi: dite qualcosa di agricolo.
I problemi non mancano e alcuni spunti possono venire proprio dai titoli di coda della legislatura appena conclusa.
Prendiamo la legge di stabilità. La versione finale del provvedimento si è limitata a spostare nel tempo il siluro fiscale rifilato alle società agricole, che abolisce dal 2015 la possibilità di optare per la tassazione su base catastale.
Rinvio di un solo anno, invece, per la rivalutazione delle rendite catastali dei terreni. Qualcuno, per minimizzare, ha detto che le srl e le snc sono una minoranza, poche migliaia. Questo forse è vero, ma così facendo si colpiscono duramente molti progetti realizzati sulla base del vantaggio fiscale che quella opzione garantiva.
Soprattutto, si rischia di cancellare un modello di aggregazione (comunque in costante crescita) del sistema agricolo italiano, la cui frammentazione è denunciata come la madre di tutte le debolezze del settore che ne pregiudica la competitività e la capacità di proiettarsi sui mercati esteri.
C’è tempo per rimediare, visto che il testo finale ha spostato di un paio d'anni la sua entrata in vigore, ma non di tergiversare.
Il voltafaccia fiscale crea inoltre un precedente pericoloso. Oggi tocca alle società agricole, domani potrebbe venire in mente di fare la stessa operazione con le cosiddette attività connesse, che hanno allargato enormemente il perimetro della tradizionale attività agricola proprio perché inserite nell’ambito della tassazione su base catastale.
Un altro titolo di coda, di tutt'altra natura ma comunque emblematico, che dovrebbe essere annotata in agenda alla voce “cose da non fare”, arriva dal decreto sviluppo, dove la mano lesta di un deputato ha inserito con il più classico dei blitz un emendamento che di fatto ha la pretesa di cancellare i limiti del carico di azoto (i famigerati nitrati) nelle zone vulnerabili.
Forse qualche allevatore, amico per ragioni di collegio elettorale, penserà di aver risolto per un anno il problema nitrati.
Ma c’è il rischio che questo possa impattare sul complicato negoziato che l’Italia e le Regioni del Nord stanno portando avanti con Bruxelles per ottenere le tanto sospirate deroghe ed evitare il black out degli allevamenti padani, il cuore della zootecnia made in Italy.
Un'operazione che si trascina da decenni, sulla quale le Regioni stanno investendo anche milioni di euro per opere strutturali.
A proposito di negoziati europei, c’è poi il cantiere aperto della riforma Pac, con il quale dovrà confrontarsi il Governo che verrà.
Un appuntamento cruciale, ma anche un'eredità pesante, per due motivi: il primo, perché dalla Pac arrivano ogni anno oltre 5 miliardi di euro per l’agricoltura italiana.
Il secondo (è un dato di fatto, non uno spot politico), perché il nuovo Esecutivo, a prescindere dal suo colore politico, non dovrà far rimpiangere la posizione fin qui tenuta molto bene dal tandem Monti-Catania, sia al vertice dei Capi di Stato e di Governo nel negoziato sul budget, sia nelle tante riunioni tecnico-politiche del Consiglio agricolo, dove si ridisegna l’architettura della nuova Politica agricola comune.
Una volta concluso – ci auguriamo positivamente - quel negoziato, bisognerà cercare di riavviare una strategia agricola nazionale utilizzando la flessibilità applicativa che la nuova Pac comunque concede.
Fare buona politica, significa prima di tutto avere la capacità di individuare i problemi e cercare le soluzioni, avendo poi il coraggio di fare scelte coerenti.