Un anno a due facce per l'industria alimentare italiana. con consuntivi 2011 non brillanti, solo parzialmente compensati dalle buone performance dell'export. E' quanto emerge dal bilancio di fine anno realizzato dal Centro Studi di Federalimentare, che ha elaborato anche una stima in termini di produzione e consumi alimentari per il 2012, a seguito dell’impatto della manovra Monti.

 

Produzione in negativo per il 2011

La produzione ha preso una china pericolosa, tanto più anomala per un settore anticiclico come l’alimentare. Settembre aveva segnato un -4,6% sul 2010, portando il tendenziale dei primi nove mesi sul -0,8%. Ma ottobre ha fatto peggio, con un -5,5% su ottobre 2010.
Risultato: il tendenziale sui primi dieci mesi dell’anno scivola a -1,4% rispetto allo stesso periodo 2010. E'' probabile che il risultato di fine anno si ponga, perciò, a -1,5%, a parità di giornate lavorative. Il che potrebbe significare la terza - e più pesante - variazione negativa del Dopoguerra.

Se alla discesa del 2009 (-1,5%) aveva fatto seguito il buon rimbalzo del 2010 (+2%), le previsioni 2012 indicano un ulteriore indebolimento del trend produttivo, valutabile prudenzialmente attorno al -1%. Ma potrebbe andare anche peggio.
Il recente aumento dell’Iva al 21%, infatti, ha colpito più di un terzo dei consumi alimentari. Mentre col possibile ulteriore incremento Iva di due punti delle fasce al 10% e al 21%, previsto dal 'pacchetto Monti' dal 1° ottobre 2012, si allargherebbe l’impatto al 75% dei prodotti alimentari, inducendo un grave fenomeno recessivo.

 

Consumi interni deboli (-2% nel 2011)

Il sostegno interno alla produzione risulta molto debole. Il 2011 si sta chiudendo con una flessione delle vendite alimentari in quantità di due punti percentuali, che si vanno ad aggiungere ai sei punti perduti nei quattro anni precedenti. A questa pesante contrazione va sommata la spesa low cost delle famiglie. Non a caso, il valore aggiunto dell’industria alimentare è sceso in termini reali di circa 4 punti negli ultimi anni. Il mercato è “magro”, insomma, in quantità e qualità.
Le previsioni per il 2012 sono per un ulteriore assestamento in basso delle vendite. Il forte drenaggio di capacità di acquisto recato dalle recenti misure governative, incentivato dallo specifico effetto Iva sui prezzi (che la filiera non potrà ammortizzare, per mancanza di margini sufficienti) comporterà un’ulteriore e inevitabile erosione delle vendite, analoga a quella del 2011.

 

Export in controtendenza (+10%)

L’export dovrebbe chiudere l’anno con un incremento in valuta superiore al +10%, pari a 23 miliardi di euro (ben oltre il 18% del fatturato industriale, pari a 127 mld di euro).
Ormai quasi un prodotto alimentare su 5 viene esportato. Esso replica sostanzialmente l’aumento del 2010 (+10,5%), anche se ad esso corrisponde, tuttavia, un trend in quantità più ridotto, quindi il valore unitario dei nostri prodotti esportati aumenta. Pertanto, le esportazioni risultano essere, al momento, l’unico parametro solido e ben impostato del panorama alimentare del Paese.
Nel dettaglio regionale, in termini assoluti svetta la Lombardia, (4,5 miliardi di euro), assieme ad Emilia Romagna e Piemonte, per entrambi 3,7 miliardi di euro. Buone performance anche per il Veneto (3,2 miliardi di Euro). Mentre in termini di incidenza delle esportazioni sul fatturato, le regioni più brillanti sono, nell''ordine, Trentino Alto Adige (37%), Campania (32%) e Piemonte (31%).
Nonostante l’appannamento della congiuntura internazionale, le prospettive 2012 lasciano ben sperare verso una espansione delle esportazioni alimentari costante anche se leggermente attenuata, attorno al +8% in valuta, grazie agli sforzi degli imprenditori, che tenteranno di controbilanciare al massimo lo scivolamento dei consumi interni.

 

L'impatto della manovra

Considerando che l’impatto della manovra è valutato in circa 30 miliardi di euro e che il 17% del paniere della spesa è legato ai prodotti alimentari, la manovra Monti dovrebbe incidere sul settore alimentare a fine 2012 per oltre 4 miliardi di euro, circa il 2% sul totale dei consumi alimentari del Paese. Da qui, la conferma di una probabile erosione di altri due punti percentuali in quantità delle vendite alimentari nel 2012 e di almeno un altro punto percentuale in termini di produzione. E questo senza considerare ancora il possibile impatto indotto dall’Iva che verrà sicuramente anticipato dagli operatori con un fenomeno di scorte e di carico magazzini lungo la catena che potrebbe ampliare il fenomeno recessivo (attenzione ai 0,5 punti percentuali già previsti dal primo gennaio 2014).

 

Ferrua: no a ritocchi di Iva e accise 

Per rilanciare i consumi interni e promuovere più efficacemente il made in Italy sui mercati esteri, le proposte di Federalimentare al Governo sono essenzialmente tre, secondo il presidente di Federalimentare, Filippo Ferrua.
“In primo luogo
- sostiene Ferrua – bisogna spingere subito e più coraggiosamente sul pedale dello sviluppo, unica strada plausibile e decisiva per rilanciare una fascia enorme del largo consumo, come quella rappresentata dai consumi alimentari degli italiani. E’ chiaro che tale spinta dovrà essere coniugata con la cancellazione di ogni ulteriore pressione fiscale, riconsegnando ai consumatori un potere d’acquisto maggiore, oggi eroso da scarsa concorrenza, tariffe in regime e liberalizzazioni mancate”.

La seconda proposta riguarda la promozione dei prodotti alimentari sui mercati esteri. “La quota di circa 23 miliardi di euro esportata nel 2011 – spiega il presidente – deve spingersi verso tassi di sviluppo superiori al +8% preventivabile per il 2012. Per farlo, al di là della positiva e già prevista ricostituzione dell’Ice, occorre, come misura di impatto a breve termine, la piena deducibilità dei costi sostenuti per le attività di promozione e commercializzazione di prodotti italiani all’estero. Questa misura potrebbe costituire un concreto e immediato incentivo per rafforzare la spinta all’internazionalizzazione e rilanciare l’economia del Paese".

Infine, la terza proposta è rivolta alla crescita della dimensione d'impresa, ancora troppo piccola nel nostro Paese, in particolare nel settore alimentare. “Andrebbe alzata in maniera significativa la soglia che consenta la defiscalizzazione delle operazioni di fusione ed acquisizione aziendali - conclude Ferrua -, allargando così le spalle alle nostre imprese per affrontare mercati promettenti ma lontani come la Russia, la Cina e l’India".