Un gruppo di ricercatori dell'Isac-Cnr, Istituto di Scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna e dell'Università degli Studi di Milano ha smentito, grazie ai risultati di uno studio, la convinzione secondo la quale l'aumento di periodi di caldo intenso è dovuta ad "una variabilità climatica molto più accentuata, che provoca un numero maggiore di eventi con temperature eccezionalmente calde".
"Si è sviluppato un modello statistico - spiega Michele Brunetti, dell'Isac-Cnr, uno degli autori dello studio - per comprendere l'evoluzione degli eventi estremi durante gli ultimi 50 anni nel contesto del riscaldamento globale in atto. Le analisi hanno dimostrato come la frequenza degli eventi con temperature eccezionalmente alte sia aumentata in modo significativo negli ultimi decenni e come l'incremento di tali eventi estremi non sia causato da un aumento delle anomalie climatiche, ma si spieghi con lo spostamento della temperatura media globale verso valori più elevati".
"La distribuzione statistica delle temperature giornaliere - prosegue Claudia Simolo, dell'Isac-Cnr - ha subito uno spostamento che spiega anche il più marcato aumento delle condizioni di caldo estremo rispetto alla diminuzione degli eventi eccezionalmente freddi. Nell'ultimo mezzo secolo ogni porzione della distribuzione si è spostata di 1.5°c in modo solidale con la sua media".
Il grande caldo fa 'migrare' i prodotti tipici
"Se gli effetti stagionali dell'aumento della temperatura sono da tutti immediatamente percepibili, i cambiamenti climatici stanno provocando effetti più strutturali con la 'migrazione' dei prodotti tipici verso nord, che in Italia si sta già verificando con un significativo spostamento della zona di coltivazione tradizionale di alcune colture, come l'olivo, che è arrivato quasi a ridosso delle alpi e nella Pianura Padana, dove si coltivano grandi quantità di pomodoro e di grano duro per la pasta". Lo sottolinea la Coldiretti commentando i risultati dello studio condotto dall'Isac-Cnr di Bologna e dell'Università di Milano.
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Fonte: AgricolturaOnWeb