“E' intollerabile che l’11% delle morti bianche sia dovuto a incidenti nei campi a fronte di un’occupazione in agricoltura che è solo il 3,8% del totale. Si tratta di un vero scandalo cui bisogna porre fine al più presto. Non esiste nessun altro settore del mondo produttivo italiano in cui l’incidenza sia così sconcertante. Basti pensare che le morti sul lavoro nell’industria e nei servizi nel 2008 hanno segnato un calo sensibile rispetto al 2007, in agricoltura sono salite, invece, dai 105 del 2007 a 121 del 2008: un 15,2% in più”.
Così il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Giancarlo Galan, commenta l’alta percentuale di incidenti mortali che coinvolgono il mondo dell’agricoltura. 
“Il Nord-Est è insieme al Mezzogiornol’area con le maggiori quote di morti sul lavoro in agricoltura (32% per entrambe le aree). In base ai dati dell'Osservatorio sicurezza sugli infortuni in agricoltura dell'Enama-Ente nazionale per la meccanizzazione agricola, è il ribaltamento del trattore la causa più comune di incidenti mortali in agricoltura (71,5%), seguito dagli investimenti da mezzi agricoli (11,4%) e dagli infortuni causati da motozappe, carri miscelatori, mietitrebbiatrici e altri mezzi”.
“Pur essendo convinto che le responsabilità siano anche dei singoli - ha aggiunto il ministro - credo che questi dati debbano richiamare tutte le istituzioni, compreso il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, ad un comune impegno per promuovere e controllare in ogni modo la sicurezza nei luoghi di lavoro della nostra agricoltura. Quello degli incidenti nei campi è un tema che riemerge troppo spesso. Per questo sento la necessità di fare il possibile per spezzare questa catena infinita. Vorrei cominciare coinvolgendo gli altri ministeri competenti e tutte le associazioni e le organizzazioni agricole, da nord a sud, per un confronto comune. Noto che a questo lungo elenco di agricoltori morti sul lavoro spesso i media non danno rilievo. Io ritengo che sia un fenomeno dolorosissimo e inaccettabile per una società che voglia dirsi civile”.