Quattro famiglie italiane su dieci hanno modificato le loro abitudini a tavola, il 35% limita gli acquisti o sceglie prodotti di qualità inferiore; il 65% è convinto che gli aumenti dei prezzi sono dovuti ai troppi passaggi della filiera (dal campo allo scaffale); il 75% ritiene fondamentale l’indicazione sui listini del 'doppio prezzo' (origine e dettaglio). E’ quanto rileva la Cia (Confederazione italiana agricoltori) che, a commento dei dati Istat sull’inflazione a gennaio, ricorda i risultati di un’indagine condotta sul territorio nazionale anche sulla base dei dati Istat ed Ismea-AC Nielsen.
E proprio i rincari che si sono generati lungo la filiera agroalimentare, rileva la Cia, hanno spinto le famiglie italiane a cambiare la spesa per la tavola. E così nel 2008 si è consumato, in quantità, più pollo (più 3,5%) e meno carne bovina (meno 0,4%), più maiale, salumi e insaccati (più 2,5%), meno pane (meno 2,4%) e più frutta (più 2,6 per cento) e ortaggi (più 0,2%), meno formaggi (meno 0,7%) e più latte (più 1,6%), più pasta (più 1,2%), meno pesce (meno 1,5%), meno olio d’oliva (meno 0,9%), meno vino (meno 1,6%) e più derivati del latte (yogurt, in particolare, cresciuti del 2,7%).
Il dato sui consumi di pasta, che crescono nonostante i vertiginosi rincari (più 28,2%), può sembrare contrastante. Però gli italiani hanno incrementato l’acquisto di pasta il cui prezzo, pur in presenza dei rincari, appare ancora il più 'abbordabile' per le loro tasche svuotate dalla crisi.
Il 33,5% delle famiglie, rileva ancora l’indagine Cia, limita l’acquisto o sceglie qualità inferiore di pane; il 35% di pasta; il 43,5% di frutta; il 46% di carne bovina; il 48 per cento di pesce.
Per questo motivo 3/4 delle famiglie italiane, sostiene l’indagine Cia, chiede che venga applicato sui listini dei prodotti alimentari il 'doppio prezzo'. Viene ritenuto uno strumento utile per fare chiarezza e per contrastare speculazioni e rincari artificiosi. E tutto ciò si riscontra nel successo della Petizione popolare della Cia proprio sul 'doppio prezzo'. Sono state raccolte centinaia di migliaia di firme in tutta Italia.
L’agricoltura, insomma, ha dato il suo contributo alla frenata dell’inflazione, ma, rimarca la Cia, i prezzi alimentari al dettaglio non hanno registrato un andamento al ribasso. Restano, infatti, ancora elevati (più 3,8% a gennaio) rispetto alle quotazioni praticate sui campi (meno 7% nel 2008 nei confronti del 2007).
Nel 2008, avverte la Cia, i prezzi degli alimentari al consumo hanno avuto una crescita tendenziale del 4,3 per cento, alla quale si è contrapposta, invece, una flessione dei listini all’origine, che ha toccato anche cali record come per il grano duro (circa 50% in meno rispetto al 2007). Un eguale andamento, purtroppo, non si è avuto nei vari passaggi della filiera e così i prodotti alimentari non hanno avuto, al dettaglio, la tanto attesa diminuzione. Si hanno, soltanto, lievi correzioni al ribasso: si è passati dal più 4,3% di dicembre al più 3,8% di gennaio. Troppo poco. I listini, nel complesso, hanno mantenuto livelli eccessivamente alti e alcune quotazioni non trovano alcuna giustificazione (è soprattutto il caso della pasta rincarata del 25,5%).