A otto miliardi siamo già arrivati. Ancora pochi anni e la popolazione mondiale giungerà  a quota dieci miliardi.

Un'enormità se si tiene conto che nel 1950, nemmeno un secolo fa, si contavano appena 2,5 miliardi di persone.

 

Ci sarà cibo per tutti? Già oggi si producono alimenti in quantità tale da sfamare tutto il globo.

Eppure nel mondo circa due miliardi di persone si trovano in condizioni di insicurezza alimentare, formula edulcorata per definire una tragedia come la fame.

Per sconfiggerla non basterà produrre più cibo, cosa che l'agricoltura moderna ha dimostrato di saper fare, ottimizzando risorse ed efficienza per fronteggiare una domanda in crescita.

 

Alla radice del problema

Il problema è altrove, nella distribuzione del cibo, abbondante e sprecato in alcune aree, insufficiente in altre, dove non è il cibo a mancare ma i soldi per acquistarlo.

Detta così è una banale semplificazione, ma utile a comprendere che la soluzione al problema della fame passa anche attraverso la crescita economica e sociale delle aree più povere del pianeta.

Sempre che questa crescita non sia ostacolata da altri interessi, ma questo è un tema che ci porterebbe troppo lontano dal cibo e dalla sua produzione.

 

Una vicenda che insegna

Difficile semmai è individuare quali strategie adottare.

Mi tornano allora alla mente alcune righe del libro "La Fame" scritto da Martin Caparros, giornalista con una lunga esperienza di inchieste nei luoghi più poveri e inospitali.

Caparros descrive il suo incontro con Aisha, una giovane donna del Niger intenta a preparare frittelle di miglio, la base del suo frugale pasto.

 

Se un mago potesse esaudire ogni tuo desiderio, chiede Caparros ad Aisha, cosa gli chiederesti?

"Voglio una vacca che mi dia molto latte" risponde Aisha. "Se vendo il latte in più posso comprare quello che serve per fare più frittelle".

Ma il mago, replica Caparros, può darti qualunque cosa, tutto quello che vuoi.

In un sussurro, risponde Aisha, "vorrei due vacche, così non avrò fame mai più."

 

Gli esempi

Poi ci sono le esperienze del Cefa, organizzazione da tempo impegnata nella lotta alla fame e alla povertà.

E' merito del Cefa l'aver individuato nei piccoli allevamenti di bovini una risposta ai problemi dei distretti più poveri della Tanzania.

Progetto replicato in Mozambico costruendo le basi di una crescita economica e sociale. 

 

Un alleato dell'uomo

Perché un bovino, anzi, una vacca, piuttosto che un altro animale?

La risposta sta nella particolare fisiologia dell'apparato digerente dei ruminanti, capaci di trasformare alimenti indigeribili per l'uomo in preziose proteine, vitamine, sali minerali e micronutrienti.

L'efficienza di questa trasformazione è tale che nel latte e nelle carni troveremo aminoacidi e vitamine che non erano nemmeno presenti negli alimenti di origine.

Tutto merito dell'enorme quantità di microrganismi che popolano il rumine (uno dei quattro stomaci dei ruminanti) che rendono assimilabile la massa vegetale ingerita, microrganismi che infine divengono essi stessi alimenti per il bovino.

 

Un falso problema

Però, si potrebbe obiettare, in cambio di queste proteine e vitamine il bovino contribuisce con le sue emissioni, metano in particolare, ad aumentare il problema del cambiamento climatico. Vero, ma solo in parte.

Perché nel bilancio fra emissioni gassose e sequestro del carbonio nel terreno e nelle piante delle quali il bovino si ciba, il risultato è negativo.

In altre parole è maggiore il carbonio sequestrato di quello emesso. Argomento complesso, che AgroNotizie ha già affrontato.

Una conferma che l'allevamento del bovino non è un problema, ma può essere parte della soluzione.