L’idea è di quelle “furbe”. Dopo aver “smontato” dal suino pesante i cosci destinati alla trasformazione in prosciutti nei circuito Dop (dal Parma al San Daniele), resta un’ottima carne, giustamente marezzata, ideale per il consumo fresco oltre che produrre uno dei mille insaccati della nostra migliore tradizione salumeria. Per di più questa carne proviene da un circuito virtuoso, dove tutto è controllato, dal sistema di allevamento all’alimentazione, e verificabile come vogliono i più accreditati sistemi di tracciabilità. Una carne che può allora vantare molti punti di vantaggio, peccato sprecarli. Ed ecco nascere un paio di anni fa l’idea del “Gran Suino Padano”, un circuito nel quale valorizzare le carni dei nostri suini pesanti (una tradizione e un sistema di allevamento tutto italiano) al quale affidare anche un marchio per consentire al consumatore di riconoscere e dare la preferenza a queste carni.


Arriva la Dop

Come a volte capita alle idee migliori, tradurre il progetto in realtà è stato compito arduo e solo da poco tempo si sono potute incontrare sui banchi frigoriferi della Gdo (grande distribuzione organizzata) le prime confezioni “targate” GSP, Gran Suino Padano.

A stringere i tempi ci ha pensato la crisi che da tempo imperversa sui mercati della carne suina e che solo ora sta dando i primi modesti segnali di recupero. Una crisi per la cui soluzione si è messo in campo anche il ministero dell’Agricoltura, che dopo aver convocato il tavolo di filiera (ne abbiamo parlato anche su Agronotizie) ha individuato nel progetto Gsp uno dei pilastri sui quali basare la ripresa del settore.

Fra i punti di intervento del piano di rilancio della suinicoltura figura ai primi posti la valorizzazione commerciale delle carni fresche che non vengono utilizzate nel circuito dei salumi Dop e Igp, con un piano di promozione sui punti vendita e accordi commerciali con le catene commerciali oltre ad una promozione diretta nei confronti del consumatore. Nel progetto si dà particolare enfasi al coinvolgimento della Gdo e della comunicazione ai consumatori dei pregi di queste carni, fra i quali tenerezza e sapidità rappresentano punti di eccellenza. Il tutto condito da una forte attenzione alla presentazione del prodotto per favorire un facile riconoscimento da parte del consumatore.


Mercato in ripresa

A risollevare le sorti del mercato delle carni suine hanno sicuramente pesato anche altri fattori, e non solo la presenza delle carni a marchio Gsp, ma intanto il mercato ha reagito e i prezzi, dopo mesi di stasi, hanno ripreso a salire, seppure in misura limitata. A metà settembre sulla piazza di Reggio Emilia (che è divenuta quella di riferimento per il settore) si è arrivati per i suini pesanti  a quota 1,60 euro per kg di peso vivo. Appena quanto basta a coprire le spese di produzione, sufficiente almeno  a ridare un po’ di speranza agli allevatori.


Sei mesi per rispondere

Ma è bene non essere troppo ottimisti. A raggelare gli entusiasmi  ci ha pensato la Commissione Europea, alla quale è affidato il compito di valutare la possibilità di attribuire il marchio Dop alle carni del Gps, una richiesta che in questi giorni ha subito una battuta d’arresto. Per proseguire nell’iter di riconoscimento i Servizi comunitari hanno infatti chiesto ulteriori informazioni. Non si tratta di un no definitivo alla richiesta della Dop, ma è il segnale che  la procedura di riconoscimento ha incontrato alcuni ostacoli. Uno di questi sarebbe la mancata corrispondenza fra il nome scelto (Gran suino Padano, appunto) e la zona di produzione che oltre alla pianura Padana annovera anche aree di altre Regioni, come la Toscana o il Lazio e altre ancora. Ora l’Italia ha sei mesi di tempo per fornire le informazioni complementari richieste dalla Commissione, che poi continuerà nell’esame della richiesta italiana. Ma nel frattempo ci si chiede cosa ne sarà dei progetti, già in fase avanzata, per la promozione di queste carni. In ballo ci sono 700mila euro di fondi affidati al Consorzio del Gps per la promozione, anche se le maggiori preoccupazioni sono legate alle ripercussioni negative che si potrebbero avere sul mercato delle carni se venisse a mancare uno dei pilastri sui quali poggia il piano di rilancio del settore messo a punto dal ministero.