L’offensiva mediatica sul fronte dei prezzi dei prodotti alimentari continua, scatenando allarmi. Forse per preparare rincari al consumo che non trovano giustificazione reale alla produzione: né nell’andamento pluriennali dei prezzi pagati agli agricoltori, né nell’incidenza di tali prezzi su quelli al consumo. Lo ribadisce Confagricoltura, ora che il “fronte” pare estendersi prepotentemente al latte.
Nelle scorse settimane l’organizzazione degli imprenditori agricoli aveva diffuso un dossier che illustra come l’andamento delle quotazioni all’origine non sia tale da giustificare rincari con percentuali “a due cifre”. La documentazione – disponibile sul sito internet www.confagricoltura.it – si va ad arricchire del capitolo latte, in risposta ai nuovi ingiustificati attacchi.
Alla produzione il latte, spiega Confagricoltura, viene pagato molto poco, dal Piemonte alla Lombardia, alla Puglia. Ad esempio, se attualizzassimo il prezzo delle regioni del nord del 1983, otterremmo un prezzo di 58 centesimi di euro il litro. Oggi, il prezzo riconosciuto ai produttori alla stalla è di 32,85 centesimi il litro per partite di almeno 4.000 kg al giorno. Il prezzo del latte al consumo è di 1,40 €. Il prezzo della materia prima incide dunque sul costo finale per il 23,5%. L’incidenza era del 35% nel 1997, addirittura oltre il 60% nel 1976.
Se si aumentasse l’attuale prezzo all’origine del 10% (vale a dire di 3,3 centesimi di euro al litro, per un recupero dei maggiori costi produttivi sostenuti dagli allevatori), il prezzo finale del prodotto al consumo, mantenendo inalterati i margini dell’industria e della grande distribuzione, aumenterebbe di circa il 2,5% e non del 15%. I rincari ipotizzati su alcuni media non possono essere mascherati dietro l’alibi dei rincari della materia prima.