Davvero i diserbanti contenenti glifosate potrebbero essere anti cancerogeni? Magari, ma così non è.

In una delle prime puntate della serie “La tossicologia spiegata semplice” erano stati trattati i test tossicologici effettuati in vitro, cioè su cellule tenute libere in appositi contenitori, galleggiando su altrettanto appositi mezzi di coltura. Ciò per dare loro nutrimento e mantenere le cellule attive, sebbene singole e sparpagliate. Questi test hanno il pregio di essere più veloci e facili da svolgere di quelli su cavie, senza peraltro dover sacrificare queste ultime per valutare la tossicità di una sostanza.

Hanno però anche un difetto, cioè quello di non essere di per sé esaustivi nello stimare l’eventuale pericolosità per un organismo completo, in cui le cellule sono tutte aggregate per tipologie nei rispettivi organi e apparati. Una cosa è infatti verificare un effetto citotossico su cellule in vitro, un’altra è affermare che quel prodotto sia davvero nocivo per l’organismo nel suo insieme. Per fare questo, purtroppo, si deve appunto ricorrere ai test su animali.

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Test in vitro e test in vivo – Parte II

Su tale facilità di ottenere effetti nefasti su cellule in vitro si basa buona parte della pessima scienza che circola da anni sui prodotti fitosanitari, utilizzando tali test come prove inconfutabili della pericolosità degli agrofarmaci. Chi non sa cosa siano, questi test, rischia quindi di cascarci con tutte le scarpe e di dare fiato a ciarlatani di ogni ordine e grado fra ricercatori, medici o giornalisti.

Quanto tali test fossero infatti da prendere con le pinze lo aveva "dimostrato" in passato una ricerca(1) in cui glifosate e il suo metabolita Ampa pare abbiano rivelato un'azione inibitrice nella moltiplicazione delle cellule tumorali. In pratica, da quei test in vitro si sarebbe ricavato che le cellule tumorali esposte ad Ampa e glifosate diminuivano il ritmo di riproduzione.

Ovviamente, tale studio aveva valore zero dal punto di vista pratico: la concentrazione utilizzata sulle cellule era tale da rendere impossibile una somministrazione terapeutica in un malato oncologico. Per giunta, sapendo appunto che una cosa è inibire delle cellule sguazzanti in una capsula Petri, un’altra è mostrare i medesimi effetti sull’organismo.
 

Nuove evidenze? Sì, ma meglio ignorarle

Nel filone di tali studi è arrivato anche un’altra evidenza di quanto siano pericolosi tali test in vitro, dimostrando ancora una volta che glifosate potrebbe essere un ottimo anti tumorale(2). O meglio, potrebbero esserlo addirittura i suoi coformulanti, perché la sola sostanza attiva di per sé, secondo i ricercatori, non avrebbe mostrato alcun effetto significativo

Per i sostenitori dei prodotti a base di glifosate, tali ricerche potrebbero essere accolte con entusiasmo, dato che rafforzano i loro bias di conferma, cioè quel brutto difetto del nostro cervello di cercare preferenzialmente notizie che corroborino i nostri convincimenti anziché demolirli. Vittime di tali bias non sono infatti solo i fanatici anti-pesticidi, in special modo gli anti-glifosate, bensì possono anche esserlo i fanatici pro-pesticidi e pro-glifosate. Peccato per entrambi i gruppi che i test su cui poggiano le fondamenta dei loro pilastri ideologici siano spesso fatti di sabbia e non di solida roccia.

A ulteriore conferma che dei test in vitro si deve avere una fiducia molto ma molto tiepida - e in attesa che studi in vivo diano o meno conferme (meglio ancora se gli studi sono di tipo epidemiologico su cospicue parti di popolazione) - giunge anche l’insegnamento della biologa Mary Mangan.

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Another study finds glyphosate herbicide kills tumor cells. Is the much-maligned weedkiller a cancer fighter?

La biologa statunitense ricorda infatti come spesso le cellule utilizzate nei test siano di tipo tumorale, semplicemente perché crescono in fretta e a lungo, mentre le cellule derivanti da tessuti sani a un certo punto si fermano. In qualche modo queste cellule mantengono alcune caratteristiche dei tessuti di origine, tipo fegato o cervello. Per esempio alcuni geni possono ancora accendersi o spegnersi anche se le cellule sono ormai state isolate e non sono più parte di un organo o di un tessuto.

Ciò – sempre secondo la biologa – non deve però far cadere nell’errore di credere che quelle cellule siano ancora un fegato o un cervello. Mary Mangan conclude quindi che il lavoro summenzionato è andato ben oltre il significato che può essere dato a una prova su cellule in vitro.
 

Conclusioni

Mai credere a studi che palesino effetti clamorosi, positivi o negativi, soprattutto quando siano stati svolti su colture cellulari. Questo vale sia per i pessimi scienziati che operano con solerzia contro la chimica agraria, producendo junk science allarmista, sia contro altri scienziati che non vanno certo applauditi quando dimostrano il contrario operando però nel medesimo, deprecabile modo.

Referenze citate:
1) Qingli Li et Al (2013): "Glyphosate and AMPA inhibit cancer cell growth through inhibiting intracellular glycine synthesis". Drug Des Devel Ther. 2013; 7: 635–643
2) Youwu et Al (2019): “Evaluation of the cytotoxic effects of glyphosate herbicides in human liver, lung, and nerve”. Journal of Environmental Science and Health, Part B . Pesticides, Food Contaminants, and Agricultural Wastes. Volume 54, 2019 - Issue 9.

"La tossicologia spiegata semplice" è la serie di articoli con cui AgroNotizie intende fornire ai propri lettori una chiave di lettura delle notizie allarmanti sul mondo agricolo in generale e su quello fitoiatrico in particolare.
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