Andare in guerra non è mai piacevole. Se ci si va poco armati, magari pure male, è sicuramente peggio. Questa la sintesi del pensiero di Gabriele Posenato, di Agrea, intervistato da AgroNotizie in materia di peronospora e fitoiatria.
 
C’era una volta la peronospora. E c’è ancora. Cosa è cambiato in Veneto rispetto a quando i cinquantenni di oggi studiavano all’università?
“Nel veronese i dati climatici dal 1990 in poi parlano chiaro. Fra il 1990 e il 2000 vi è stata solo un’annata di vera peronospora, ovvero il 1995. Dal 2000 al 2006 le annate sono state tre e negli ultimi dieci anni praticamente il 70% delle annate è stato a forte pressione di peronospora. E questo indipendentemente dal fatto che la malattia sia esplosa a maggio o a giugno. Ecco cosa è cambiato”.
 
A cosa è dovuto un tale inasprimento della pressione del patogeno?
“Non è cambiata la peronospora: è cambiato il clima, il quale ha fatto anticipare molto il germogliamento delle piante e quindi le infezioni primarie non sono più come quelle di vent’anni fa, facendo oggi danni molto seri. Nel 1990 il primo trattamento si effettuava intorno al 10-11 maggio, adesso a tale data se ne sono fatti già tre. Il venti di aprile si comincia. Già questo è un sintomo che è cambiato qualcosa, obbligando a prendere delle contromisure”.
 
E le contromisure disponibili sono sufficienti?
“L’arsenale di sostanze attive e di prodotti disponibili è ancora robusto, ma una parte di esso è di fatto inutilizzabile. Vuoi per disciplinari più o meno discutibili, i quali escludono diverse molecole impoverendo le scelte tecniche, vuoi perché si sono generate resistenze a carico di altre sostanze attive fino a poco tempo fa molto valide. Oggi però la peronospora non perdona. Quando c’è in poco tempo devasta la coltura”.
 
Cosa dovrebbe fare il comparto per rispondere a tali sfide?
“A mio avviso non ci si dovrebbe fare influenzare così profondamente dai social, dai media e dalle pressioni di movimenti che vedono l’agricoltura quale principale inquinatrice dell’ambiente, quando invece esiste una ‘nobile arte', così mi piace definirla, che si chiama fitoiatria. Un’arte che non si improvvisa con un esame all’università, ma la si affina conoscendo e sperimentando i prodotti in campo. Questo è il messaggio che mi sento di dare”.