Le attività frutticole, olivicole e vitivinicole generano grandi quantità di biomassa legnosa di scarto: le ramaglie e i sarmenti derivanti dalle potature e la biomassa di fine ciclo.
Secondo uno studio dell'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (Anpa), la produzione di biomassa arborea di scarto si attesta fra il 10% e il 40% della produzione di frutta, a seconda della specie. La produzione totale di ramaglie (solo la frazione dendrometrica, cioè escludendo le foglie) si stima in 3.585.434 tonnellate SS/anno. La biomassa di fine ciclo si stima in 1.563.423 tonnellate SS/anno, ed è costituita prevalentemente da tronchi e grossi rami.
Poiché il Potere Calorifico Inferiore (Pci) delle biomasse legnose da latifoglia è mediamente 4.500 kWh/tonnellate SS, ovvero 0,387 Tep/tonnellate SS (Tonnellate Equivalenti di Petrolio per tonnellata di sostanza secca), il potenziale energetico delle potature rappresenta per l'Italia un'opportunità di risparmiare ben 1.387.563 tonnellate di petrolio all'anno, cui si aggiungono 605.044 Tep/anno della biomassa di fine ciclo.
Possiamo ragionevolmente ipotizzare che la biomassa di fine ciclo venga già utilizzata come legna da ardere. Diverso è invece il destino della biomassa da potature. Essa consiste in ramaglie di piccolo diametro che un tempo venivano raccolte in fascine - utilizzate dai contadini per accendere o ravvivare il fuoco - ma che oggi non trovano alcun impiego. La gestione più diffusa delle potature consiste nell'accatastarle sui bordi dei campi e poi bruciarle. Tale pratica comporta emissioni inquinanti di polveri sottili, incombusti (Voc, Volatile Organic Compound) e ozono.
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Più raramente, le potature vengono triturate e interrate, restituendo nutrienti e carbonio organico al suolo. Tuttavia, questa pratica presenta alcuni inconvenienti: la triturazione comporta un consumo di gasolio non indifferente per il funzionamento del mulino o del cippatore e l'interramento della biomassa non adeguatamente compostata o torrefatta può comportare qualche rischio di propagazione di malattie o parassiti.
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Esiste però una soluzione semplice in grado di generare un piccolo reddito addizionale, o quanto meno compensare il costo della potatura: la produzione di bricchette.
Le bricchette non sono altro che cilindri - più raramente blocchi a forma di mattonelle - prodotti mediante la compressione di biomassa finemente triturata in uno stampo di acciaio o in un estrusore. Il processo di bricchettazione rende un prodotto con caratteristiche simili a quelle dei pellet: alta densità e basso tenore di umidità.
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L'addensamento della biomassa garantisce minori costi di trasporto e stoccaggio e una combustione più prolungata ed efficiente di quella che sarebbe ottenibile dalle ramaglie grezze o semplicemente triturate. Per contro, il costo energetico di fabbricazione delle bricchette è maggiore rispetto a quello della legna spaccata o del cippato. Indicativamente, per processare 150 chilogrammi/ora di ramaglie sono necessari un mulino a martelli da 4 kW e una bricchettatrice da 11 kW. Assumendo che le bricchette abbiano un'umidità massima del 10%, il loro Pci sarà pari a 4,5 kWh/chilogrammo. L'energia primaria contenuta nei 150 chilogrammi di bricchette sarà pari a 675 kWh. L'energia primaria - cioè il consumo di combustibili fossili imputabile alla generazione elettrica nazionale - è circa due volte il consumo di energia elettrica dei macchinari nell'unità di tempo considerata nel nostro esempio, quindi 30 kWh. L'Eroi, Energy Return on Investment (Ritorno dell'Investimento Energetico, in italiano) è dunque pari a 675/30 = 22,5, ovvero 2.250%.
A titolo d'esempio, l'Eroi della legna spaccata è di 6.430%, quello del cippato 2.497% (Fonte: Precious Forests) e quello dei pellet 541%. Il costo energetico di produzione delle bricchette si giustifica dunque ampiamente con la valorizzazione di uno scarto che altrimenti andrebbe a creare un problema ambientale. Il processo di bricchettazione è inoltre più efficiente di quello di pellettizzazione.
Le ramaglie risultanti dalle operazioni di potatura dei frutteti offrono dunque un enorme potenziale, ad oggi sprecato.
La Foto 1 mostra il contributo percentuale di ogni coltura al totale di 3.585.434 tonnellate SS/anno stimato per il nostro Paese.
La distribuzione geografica della risorsa si osserva nella Foto 2.
Foto 1: Quantità di ramaglie da operazioni di potatura (tonnellate SS/anno) per specie colturale
(Fonte foto: Dati Anpa, elaborazioni grafiche dell'autore)
Foto 2: Ramaglie da operazioni di potatura, per regione, in tonnellate SS/anno
(Fonte foto: Dati Anpa, elaborazioni grafiche dell'autore)
Considerazioni finali
Nonostante la bricchettazione sia più semplice ed efficiente della pellettizzazione, le bricchette sono ancora poco diffuse nel mercato italiano, che invece predilige i pellet.
Con una adeguata politica di incentivi o sgravi fiscali per l'acquisto di macchinari per la produzione di bricchette con gli scarti delle aziende frutticole, olivicole e vitivinicole, lo Stato avrebbe una serie di benefici a costo quasi nullo per l'Erario:
- Eliminazione delle emissioni inquinanti causate dall'attuale pratica di incenerimento all'aperto delle ramaglie da potatura.
- Crescita dell'occupazione e del fatturato del comparto delle macchine agricole, specificatamente per la fabbricazione di mulini ed estrusori.
- Aumento del gettito fiscale per l'Iva riscossa dalla vendita delle bricchette e dei macchinari per la loro produzione.
- Risparmio nelle importazioni di gas e petrolio.
- Riduzione dell'inquinamento causato dal trasporto dei pellet di abete provenienti dal Centro Est europeo.
- Miglioramento del reddito delle aziende agricole.
Il beneficio principale per il consumatore sarebbe un minor costo di approvvigionamento rispetto ai pellet o alla legna da ardere.