Ad inizio anno avevamo scritto un articolo che descriveva i meccanismi virtuosi che in Italia, e specialmente nel Bacino del Nord, avevano portato negli anni passati alla definizione di un prezzo concordato del pomodoro da industria. Un prezzo che era frutto di un confronto tra le organizzazioni dei produttori agricoli e Anicav, l'Associazione degli industriali del settore conserviero.
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Quest'anno però dalla riunione dello scorso 15 febbraio non è uscito alcun accordo. E anche in quelle successive industriali e agricoltori non sono riusciti a trovare la quadra. La parte agricola chiede un prezzo di 150 euro euro alla tonnellata. Mentre gli industriali non vogliono andare oltre i 140 euro.
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Ognuna delle parti porta le sue ragioni, che analizzeremo in seguito, e a complicare il quadro c'è il fatto che in Spagna gli industriali hanno stretto un accordo con gli agricoltori a 150 euro/tonnellata. Mentre in Italia il Consorzio Casalasco, da poco entrato nell'Oi Pomodoro da Industria Nord Italia, ha siglato un contratto con due Op (Ainpo e Asipo) proprio ad un prezzo di 150 euro. Una decisione che ha rotto il fronte dell'industria. E ora qualcuno si chiede se il tempo degli accordi quadro sia finito.
Gli agricoltori: costi in aumento e meteo imprevedibile
Per cercare di comprendere le ragioni della parte agricola abbiamo parlato con Massimo Passanti, presidente della Federazione Nazionale di Prodotto - Pomodoro da Industria di Confagricoltura, e Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti, che si trovano sostanzialmente su posizioni concordanti.
Il primo elemento da tenere in considerazione è rappresentato dai costi di produzione, che sono ancora alti nonostante dal 2022 ad oggi il prezzo di alcuni fattori produttivi si sia abbassato. "Ad oggi l'investimento ad ettaro è di circa 10mila euro e senza delle garanzie sul prezzo di vendita molti agricoltori hanno rinunciato a fare pomodoro", sottolinea Bazzana.
Il secondo elemento di rischio riguarda l'imprevedibilità del meteo. Lo scorso anno tutto lo Stivale ha sofferto la siccità. Quest'anno si è iniziato con carenza di piogge e ora invece sembra non voler smettere. "Nel Ferrarese e nel Ravennate ci sono centinaia di campi sommersi, che dovranno essere trapiantati nuovamente. Ma non si riesce ad entrare in campo perché non smette mai di piovere", sottolinea Passanti.
Insomma, il meteo ha reso questa coltura ancora più rischiosa, in quanto ad oggi l'agricoltore non ha il controllo sui costi che dovrà affrontare, non sa quanto produrrà e neppure il prezzo a cui riuscirà a vendere la propria merce. A 150 euro gli agricoltori sono abbastanza sicuri di coprire i costi e fare un piccolo margine.
"Paradossalmente se avessimo chiuso a 140 a febbraio ora saremmo già in rosso visto il maltempo di queste ultime settimane", commenta Passanti. "Noi vogliamo la definizione di un prezzo condiviso, purché sia equo e ridistribuisca la ricchezza lungo la filiera. Inoltre, visti gli effetti dei cambiamenti climatici, chiediamo che si rimetta mano agli accordi introducendo maggiore flessibilità".
Gli industriali: prezzi fuori mercato
Dal canto proprio gli industriali ribattono che i prezzi richiesti dalle Op comprometterebbero la sostenibilità delle imprese di trasformazione e non sono giustificabili da un reale aumento dei fattori produttivi.
"Comprendiamo le ragioni degli agricoltori, ma ci sembra che le loro richieste di aumento dei prezzi, pari al 39%, non siano supportate da dati reali", ci spiega Giovanni De Angelis, direttore generale di Anicav. "Noi crediamo che sia contratti quadro che la definizione di un prezzo di riferimento sia fondamentale per tutta la filiera. Da parte nostra abbiamo sempre fatto un tentativo di mediazione e abbiamo cercato anche vie innovative, come proporre un accordo biennale a 135 euro, ma dalla parte agricola abbiamo sempre trovato un muro".
A creare qualche problema è stata la decisione degli industriali spagnoli di pagare il pomodoro 150 euro alla tonnellata. Una richiesta che tuttavia sarebbe dovuta al fatto che i pesanti cali di produzione registrati lo scorso anno hanno spinto molti agricoltori a disinvestire sul pomodoro, passando ad altre colture. Insomma, i trasformatori iberici temevano la mancanza di materia prima e sono dunque scesi a patti con le parti agricole, offrendo un prezzo allettante.
"Il prezzo del pomodoro fatto in Spagna è un unicum che si spiega con una situazione particolare in quel Paese e non può essere preso a riferimento per l'Italia", sottolinea De Angelis. Ma è ora improbabile che gli agricoltori italiani, abituati a prendere più dei colleghi spagnoli, ora si accontentino di un prezzo più basso.
Anche perché a gettare benzina sul fuoco (e a soffiare sulle vele delle Op), ci ha pensato il Consorzio Casalasco, che ha firmato con le due pricipali Op del Centro Nord (Ainpo e Asipo) un accordo per comprare il pomodoro a 150 euro alla tonnellata.
Per alcuni è stato un tentativo della Cooperativa di trasformazione di non perdere la base di agricoltori, attirata negli anni scorsi dagli incentivi offerti dalla concorrenza. Per altri si è trattato invece del riconoscimento di un giusto prezzo.
"In un clima di profonda incertezza del mondo agricolo che, oltre all'aumento dei costi di produzione deve affrontare l'enorme crisi idrica già in atto, era necessario dare risposte concrete", aveva dichiarato il presidente del Consorzio Casalasco Paolo Voltini.
Prezzo di riferimento del pomodoro, siamo arrivati al capolinea?
Il meccanismo che fino a quest'anno ha portato alla definizione di un prezzo condiviso del pomodoro da industria nel Nord Italia è un elemento di garanzia per tutta la filiera. Definire un prezzo di riferimento già ad inizio anno, prima della fine di febbraio, permette alla parte agricola di pianificare la coltivazione e ordinare le piantine in vivaio. Mentre serve agli industriali per avere maggiori certezze su volumi, tempistiche e qualità della materia prima conferita.
Insomma, si tratta di un elemento di garanzia per tutti, che tutela sia l'industria quanto la parte agricola. Ad aver scardinato questo sistema sono stati però due fattori: primo, l'aumento dei costi di produzione. Secondo, le condizioni ambientali sfavorevoli.
Questi due fattori hanno creato una forte tensione tra le parti. Gli agricoltori hanno a che fare con un clima sempre più incerto e temono l'aumento dei prezzi. Gli industriali, dal canto proprio, sono stretti da una parte dalle richieste del mercato, Grande Distribuzione Organizzata in primis, e dall'altro dal costo dei fattori produttivi in aumento.
Non mancano poi divisioni all'interno degli stessi schieramenti. Sul fronte dell'industria c'è chi avrebbe chiuso a 150 euro, mentre per altri non solo i 150 euro alla tonnellata non sono giustificabili, ma si creerebbe un precedente pericoloso. Anzi, per qualcuno il libero mercato sarebbe la soluzione ideale.
Ma l'alternativa qual è? Verrebbe da dire il libero mercato, come accade nella maggior parte degli altri settori. Oppure che si stipulino contratti di filiera, tipici ad esempio del mondo cerealicolo. O ancora forme ibride, con la perdita di importanza dei corpi intermedi, come Op e Anicav.
Tuttavia il rischio di abbandonare la definizione di un prezzo condiviso è che l'intera filiera si esponga ad un grado di incertezza elevato, che premia gli agricoltori quando di pomodoro sul mercato non ce n'è molto, ma li penalizza invece nelle annate di abbondanza. Un sistema insomma poco tutelante, che sarebbe un passo indietro e che esporrebbe la parte contrattuale più debole, gli agricoltori, a maggiori rischi.
E infatti la maggior parte dei soggetti interpellati si è detta favorevole a questo sistema di contrattazione. Resta da vedere se nei prossimi incontri si troverà un accordo e che cosa accadrà il prossimo gennaio, quando si parlerà della campagna 2024.