Non so se ha fatto più scalpore la notizia della vendita alla francese Lactalis della Ambrosi Spa, l'industria lattiero casearia bresciana che nel 2021 ha commercializzato in cinquanta Paesi circa 700mila forme di Grana Padano e Parmigiano Reggiano, oppure il silenzio che ha accompagnato l'operazione, non tanto a livello di trattativa e di cifre, che sono riservate e soggette al via libera dell'Antitrust, ma su una questione per la quale in passato si sono levati strali per la perdita di un marchio italiano e lo shopping irrispettoso da parte delle aziende straniere. Sottolineature sollevate in passato, talvolta indiscutibilmente a ragione, dal mondo agricolo così come dalla politica. Quindi l'attuale silenzio, non mi sembra di aver sentito questa volta commenti negativi, urla.
In effetti è molto saggio analizzare caso per caso i cambi di proprietà e valutare attentamente ove il passaggio in mani straniere rappresenti un depauperamento del marchio (ammesso che ci sia) e dove, invece, l'acquisto da parte di un player straniero non sia una minaccia per lo status quo e, magari, possa rappresentare un trampolino di lancio con dinamiche di crescita e ricadute positive per il territorio.
Ecco, personalmente ritengo che l'operazione condotta da Lactalis possa costituire un'opportunità di crescita per il settore lattiero caseario italiano. Mi spiego meglio.
Innanzitutto, siamo di fronte a un Gruppo solido, con una tradizione familiare che nella gestione del proprio impero - in espansione ed esteso in molti Paesi del mondo - si è sempre rivelata oculata e attenta a sviluppare il territorio in cui ha deciso di insediarsi.
I numeri raggiunti dal Gruppo Lactalis sono a tutti gli effetti quelli di una multinazionale. Nel 2021 ha fatturato 22 miliardi di euro. Giusto per dare un'idea: nella classifica "Global Dairy Top 20" di Rabobank, diffusa nell'agosto 2021, Lactalis con un fatturato di 20,2 miliardi di euro si classificava al primo posto del ranking planetario, scalzando Nestlé (seconda con 18,2 miliardi di euro).
Eppure, pur essendo un colosso del settore, con manager di valore e una struttura ben oliata e che funziona, Lactalis mantiene ben salda la proprietà familiare, rappresentata dai Besnier di Laval, città nei Paesi della Loira, regione che produce il 16,4% del latte transalpino, secondo i dati di Clal.it, che prendiamo in prestito. Una catena particolarmente radicata alle regioni in cui opera, trasformando il latte degli allevamenti dei territori limitrofi.
È tutt'altro che semplice garantire longevità aziendale, come hanno riconosciuto recentemente su Il Sole 24 Ore Beatrice Ballini e Guido Corbetta, rispettivamente Managing director Russell Reynolds Associates e professore Aidaf-Ey di Strategia delle Imprese Familiari, ai quali prendo in prestito l'analisi, perché "raggiungere la longevità, infatti, implica una combinazione unica di modelli di leadership, strutture e comportamenti che uniscono i membri della famiglia nella creazione di valore economico e sociale".
Torniamo a Brescia. Il passaggio di testimone al Gruppo della famiglia Besnier, se sarà perfezionato l'accordo, dovrebbe aprire nuove opportunità alla Ambrosi Spa (430 dipendenti tra Italia ed estero e 418 milioni di euro di fatturato nel 2021), grazie appunto alla ramificazione e alla capacità di penetrazione sui mercati internazionali di Lactalis, forte di un paniere ampio di formaggi e prodotti lattiero caseari made in Italy, che garantirebbe un elevato mix di offerta e, grazie alle molteplici sedi all'estero, dovrebbero portare vantaggi anche in chiave di agevolazioni all'export (mercati conosciuti già in maniera approfondita, abitudini alimentari, trend dei consumi, canali di vendita già consolidati e diversificati).
Lactalis conferma così la propria attenzione ai formaggi Dop del panorama italiano e per questo non possiamo non essere d'accordo. Lo sviluppo del territorio dovrebbe essere garantito e sostenuto da una società solida, a patto che una posizione rafforzata soprattutto nell'area padana, cuore della produzione lattiera italiana, dove la multinazionale già possiede marchi e numeri importanti come Galbani, Invernizzi, Cademartori, Locatelli, non si trasformi in una posizione dominante in fase di rinnovo contrattuale delle forniture di materia prima.
Aleggia una domanda, sull'operazione, dal momento che sembra che anche Granarolo abbia cercato di tentare l'affondo, ma senza risultato (ed è un copione che si ripete a distanza di anni con Parmalat, quando il blitz di Lactalis allora suscitò grande sdegno). Perché il mondo della cooperazione, che nel settore lattiero caseario vanta grandi numeri, non si è messo insieme per rafforzare la propria posizione (e quindi quella degli allevatori)? Aggiungo: i produttori associati alle cooperative erano a conoscenza che la Ambrosi Spa era sul mercato?