Professor Maracchi, che cosa ha portato Trump alla Casa Bianca?
“Trump è la conseguenza della globalizzazione e noi non lo abbiamo capito. In verità, bisogna dire che non è stato capito da nessuno”.
Non è stato capito oppure qualcuno l’aveva capito e ha spinto in un’altra direzione?
“No, non credo. Non è stato compreso che Trump è figlio della globalizzazione. È già accaduto nel secolo scorso, con l’avvento del fascismo e del nazismo. Si sono sviluppati perché la gente era diventata più povera, aveva perso certezze economiche. Ora, non voglio affatto equiparare Trump a questi due movimenti, per carità, però è innegabile che è cambiato il rapporto fra i ceti”.
In che senso?
“Non c’è più il ceto medio, ora la società è formata da una fascia di gente ricchissima, mentre tutti gli altri sono poveri. Questo crea disperazione e innesca anche una propensione alla fiducia verso chi può contare su queste risorse. Di fatto una ampia fascia di elettori ha meno sospetti verso chi ha risorse proprie, rispetto a chi, invece, vive di politica. Si pensa che chi è molto ricco di suo non dipenda, al contrario di altri, dalle lobby”.
Sarà così?
“Non lo so, staremo a vedere. Certo è innegabile che è riuscito a diventare molto ricco, partendo certo da una famiglia di imprenditori, ma ha dimostrato di essere in grado di costruire qualcosa”.
Quale futuro per l’agricoltura?
“I toni usati in campagna elettorale sono stati molto duri, catastrofici. Sono convinto che quando sarà alla Casa Bianca Donald Trump cambierà registro. Non ha dimostrato, finora, di essere particolarmente interessato all’agricoltura”.
Lei è un climatologo, Trump ha contestato apertamente il fenomeno dei cambiamenti climatici…
“Sì, è vero, è anche a favore del petrolio e ha contestato le risorse da energie rinnovabili, in alcune occasioni. Ma alla fine credo che quei toni esasperati li abbia usato perché ha capito il cambiamento degli americani e abbia voluto cavalcare lo scontento. Sono certo, ad esempio, che non si scontrerà con la Cina, in quanto sa che oggi buona parte del mercato passa da là”.
Trump ha annunciato che riaprirà un dialogo diplomatico con la Russia. Cosa ne pensa?
“Lo trovo positivo e spero che sia un passaggio chiave per non incorrere nell’annunciata chiusura protezionistica, che è la reazione alla globalizzazione. La chiave dell’elezione di Trump, vede, è la globalizzazione, lo ripeto. È un fenomeno che ha portato con sé malcontento, preoccupazione. Non c’è lavoro, siamo tutti diventati più poveri e gli Stati Uniti sono un Paese in cui il 20% delle famiglie del sud non ha accesso al cibo, secondo i dati del Federal Bureau”.
Come giudica la politica agricola del presidente uscente Obama?
“L’Agricultural Act del 2014 è stato positivo. È innegabile, però, che l’agricoltura americana è molto diversa da quella italiana. Negli stati Uniti c’è una multinazionale il cui bilancio è superiore al Pil di Olanda e Danimarca messe insieme”.
Trump si è dichiarato contrario agli accordi internazionali di libero scambio, dal Ttip (fra Usa e Ue) al Tpp con l’area del Pacifico, fino a ritirare il Nafta, l’accordo di libero scambio nordamericano. Qual è la sua opinione?
“Quest’anno in Italia non ci sarà un ettaro di frumento, cosa ne pensa? O si trova una situazione di equilibrio o così non si può andare avanti. Ma il ragionamento vale per tutta l’attività economia, non solo per l’agricoltura. Nel momento in cui la società ha pensato di concentrarsi solo sul commercio, che per sua natura ingenera ricchezza nei singoli e non nei Paesi, si è commesso un errore. Questo vale anche per l’Italia: di questo passo i lavori del futuro saranno il cameriere, la guida turistica o il commesso”.