“Innanzitutto bisogna chiarire il fatto che non si parla di un solo standard, bensì di più standard molto complessi – ha sottolineato Ciotti – le strategie messe in campo con questo sistema sono la gestione di processi in regime di qualità, la semplificazione delle procedure e le economie di scala. Il riferimento normativo è relativo alla legge 4 del 3 febbraio 2011, che istituisce la modalità di gestione del sistema e la disciplina produttiva in un contesto di informatizzazione del sistema, in collaborazione con il Sian. Per quanto riguarda le economie di scala, le caratteristiche principali sono l’elevata adesione, la riduzione dei costi di certificazione, l’aumento dell’impatto sull’opinione pubblica e la possibilità sul fare marketing sul marchio agroalimentare made in Italy”.
“Lo scopo dei sistemi di qualità è quella di certificare la produzione integrata – ha continuato Ciotti – in questo modo abbiamo dato la possibilità alle Regioni di gestire le tante domande Psr, in particolare quelle relative ai pagamenti agro ambientali”.
Maria Chiara Ferrarese di Csqa Certificazioni ha tenuto invece una relazione sui sistemi di qualità regionali. “Con l’art. 16 del reg. Ue 1305/2013 è stata concessa agli agricoltori la possibilità di partecipare per la prima volta a un regime di qualità regionale o a regimi di certificazione dei prodotti agricoli. Alla base di un regime di qualità regionale c’è innanzitutto un disciplinare tecnico; i disciplinari di produzione devono essere vincolanti, proprio come nel caso delle Dop e Igp, e infine deve esserci necessariamente un organismo terzo per il rilascio della certificazione. Molte regioni si stanno adeguando, lavorando proprio su questa direzione”.
Infine si è parlato di sistemi di qualità in relazione alle misure dei Psr, in particolare per la 3.1, la 4.1 e la 10, dove infatti è necessario averli per poter accedere al bando di finanziamento.